QUALCUNO l’ha già chiamato Maggie. Da quando Susanna Camusso ha paragonato il premier Renzi a Margaret Thatcher per via del suo attivismo sul fronte del lavoro, le battute sul giovane Matteo si sprecano. A leggere i giornali, sembra quasi che la battaglia sull’articolo 18 stia diventando lo spartiacque del governo: se avrà via libera l’abolizione della norma che salvaguarda il reintegro dei lavoratori nelle aziende con più di 15 dipendenti, come vuole Palazzo Chigi, il futuro del sindaco d’Italia potrebbe, in effetti, tornare roseo. Se, invece, passerà la linea conservatrice, come chiedono la Cgil e gli  irriducibili del Pd, tipo Pierluigi Bersani, si accettano scommesse per elezioni politiche a stretto giro di posta, magari già nella primavera del 2015. Mi sembra, però, che i fronti contrapposti stiano combattendo una falsa battaglia perché, in realtà, l’articolo 18 riguarda solo una minoranza di imprese. La vera posta in palio è un’altra, magari la maggiore flessibilità sui contratti di lavoro.

DA TEMPO, ormai, sosteniamo la necessità di superare i vecchi ed obsoleti modelli sindacali: ci sono sul tappeto tanti altri problemi, a cominciare dal costo del lavoro o dai mancati incentivi all’export, ma le rigidità e i vincoli contrattuali stanno diventando una vera emergenza. Dietro l’alibi del garantismo al cento per cento a favore del lavoratore, i sindacati, legati ancora alle messe cantate di una volta, rischiano davvero di fare “harakiri”. 
Non solo: c’è anche la necessità di una redistribuzione delle risorse. È inutile difendere a spada tratta antichi privilegi, quando molte  aziende – basta considerare tantissime “start up” –  stanno cambiando pelle e cercano di privilegiare l’innovazione tecnologica rispetto al capitale lavoro. 

I SINDACATI  più rigidi e certe frange della sinistra continuano a ragionare secondo gli schemi degli anni Settanta quando la parola d’ordine era concertazione: vediamo oggi quali danni ha provocato, con la crisi che non concede tregua. Ho molto rispetto per la Camusso, così come per un suo predecessore, Sergio Cofferati, con cui ho combattuto lunghe battaglie, con grande rispetto reciproco, quando era sindaco di Bologna (con lui ebbi  anche una polemica su come mangiare i tortellini in brodo: lui, da buon cremonese, diceva che bisognava aggiungere mezzo bicchiere di vino, io ribattevo che era una bestemmia). Oggi, però, penso  che, Renzi o non Renzi, sia davvero giunto il momento di voltare pagina e i Cofferati di oggi non possono fare altro che adeguarsi. 

[email protected]