SUL “CORRIERE” di ieri un breve necrologio mi ha commosso: “Nel ricordo dell’amico e maestro Gioânnbrerafucarlo”. Il Gioânnbrerafucarlo era Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano di tutti i tempi, nonché firma di punta del “Giorno”. Proprio ieri era l’anniversario (22 anni) della scomparsa del vate del pallone in un incidente stradale. Se per lui, Gianni Rivera era l’abatino e Gigi Riva rombo di tuono, per noi era semplicemente il Direttore. Ho avuto il privilegio di conoscerlo al “Guerin Sportivo”: quando avevo ancora i pantaloni corti mi ero messo in testa di fare il giornalista sportivo e, per un certo periodo, feci il corrispondente da Bologna del giornale diretto proprio dal Gioânnbrerafucarlo. Una volta all’anno calava sotto le Due Torri per vedere Bologna-Juve, anche se il suo vero obiettivo erano i tortellini che mangiava, prima della partita, in un ristorante del centro. A dispetto delle abbondanti libagioni, in tribuna-stampa, Brera non perdeva, però, un colpo e, in redazione, come se nulla fosse, scriveva in un baleno venti cartelle, dieci sulla partita e dieci di “Arcimatto”, la sua famosa rubrica. Io dovevo fare appena poche righe sugli spogliatoi, ma avevo anche l’importante compito di dettare allo stenografo, che stava a Milano (allora non si sapeva neppure cosa fossero i computer portatili), i pezzi del Direttore. Ricordo che una volta, nel tempo che impiegai per scrivere il mio articolino, Brera aveva già fatto tutto. Entrai nella sua stanza per prendere i servizi da dettare al telefono e venni avvolto da un’ondata di fumo, peggio della nebbia che, allora, gravava sulla Pianura Padana. Dentro un portacenere c’erano i mozziconi di un paio di pacchetti di Nazionali che, nel frattempo, aveva fumato. Del resto Gioânn si fumava tutti, ma proprio tutti. [email protected]