CI AVEVANO DETTO che sarebbe stato un nuovo Rinascimento italiano. Ci avevano detto che avremmo finalmente battuto i pugni sui tavoli dell’Europa e non saremmo più stati il fanalino di coda. Ci avevano detto che, con il nostro semestre di presidenza Ue, tutto sarebbe cambiato. Ora è già tempo di bilanci e vorrei, con voi, tirare un po’ le somme. Ad un primo esame, i risultati, al di là delle aspettative, sono, purtroppo, stati vicini allo zero. Insomma, se posso riassumere la presidenza tricolore con due sole paroline, la chiamerei, sic et simpliciter, semestre bianco. Quasi nulla, di quello che Renzi & C. avevano promesso in primavera, è stato, in effetti, realizzato. Prendevamo schiaffi e schiaffoni da Bruxelles prima, li stiamo prendendo anche adesso. Sì, qualcosa abbiamo pure ottenuto: la nuova gestione Juncker sembra avere messo da parte la miope politica dell’austerità costi quello che costi, e appare, oggi, più propensa a sostenere una fase di crescita e di sviluppo che, a detta di molti guru dell’economia, è l’unica strada in grado di invertire la recessione.

UN TREND negativo che, ormai da più di sei anni, sta affondando il Vecchio Continente e che viene, oggi, reso ancor più incerto dal recente crollo del rublo che pone ulteriori incognite sui Paesi industrializzati. Per non parlare dell’euro che penalizza, tuttora, i partner del club monetario come confermano i dati congiunturali. A questo punto, le enunciazioni di principio non bastano più e non possiamo continuare a prendere bacchettate sulle dita perché non stiamo rispettando i famosi parametri tra deficit e Pil. Inoltre, il giovane Matteo resta, politicamente parlando, impotente, perché nessuno sembra ancora essere in grado di togliere alla Merkel la presidenza “de facto” dell’Europa.

PENSO che abbia ragione il segretario della Lega, Salvini, che, sbarcando al Sud con il Carroccio, ha detto ieri che abbiamo perso, soprattutto, la ghiotta possibilità di rilanciare, a livello comunitario e non solo, il “made in Italy”. Siamo purtroppo rimasti al punto di partenza e, oggi più di ieri, abbiamo bisogno di un’aggressiva politica di rilancio delle esportazioni, tenendo anche conto dei nuvoloni neri (petrolio, gas russo ed altro) che s’addensano all’orizzonte. Insomma, non è stata mantenuta nessuna promessa tranne una: quella fatta da Napolitano di non lasciare il Quirinale prima della fine del semestre europeo. Lui è stato di parola, gli altri no. E ora viene, anche, un forte dubbio: che il turno di presidenza europea non soltanto non avvantaggi in alcun modo il Paese che occupa il cadreghino, ma finisca, quasi, per penalizzarlo. E ha pure un sapore vagamente jettatorio. Chi era, infatti, stato alla guida dell’Europa prima dell’Italia? Proprio la Grecia che, adesso, rischia nuovamente un grave “default”. Qui è meglio toccar ferro e non solo.

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