SE IN TEMPI non sospetti, il “Giorno” scrisse che Renzi aveva tutto l’interesse ad andare a elezioni anticipate, ci auguravamo che ciò non avvenisse – proprio nel momento in cui si registrano i primi segnali di ripresa -, per la stabilità del Paese. Ma, adesso, dobbiamo, purtroppo, registrare un colpo di reni che ci avvicina, comunque, al voto. Infatti, la scelta del premier di indicare Mattarella come candidato unico al Colle ha sì ricompattato tutta la sinistra sul nome dell’esponente siciliano, ma ha creato una moltiplicazione di pani e di pesci sul fronte delle maggioranze: oggi Matteo ne ha, addirittura, tre. C’è la maggioranza di governo con Alfano, quella delle riforme, il famoso patto del Nazareno, con Berlusconi e quella delle sinistre, più Scelta Civica, per il Mattarellum quirinalizio.
È chiaro che, così, non si andrà avanti a lungo e il nuovo Presidente della Repubblica, magari lo stesso Mattarella, potrebbe, presto, trovarsi a sciogliere le Camere. Sarebbe un’altra mina disseminata sulla impervia via italiana alla crescita economica e alla stabilità politica. Il gioco poteva valere la candela se il candidato unico indicato dall’ex sindaco di Firenze fosse un personaggio molto autorevole, al di sopra delle parti, ma, sinceramente, al di là del conformismo ufficiale molto diffuso in questi giorni, non ci sembra così. Forse possiamo sbagliare, ma il Mattarella che conosciamo non ha lasciato dietro di sé esaltanti testimonianze.

È VERO CHE, quando si è trattato di dimettersi, Mattarella ha lasciato immediatamente la poltrona ministeriale, cosa non facile di questi tempi: è successo durante il governo Andreotti per protestare contro la legge Mammì che avrebbe favorito le televisioni di Berlusconi. Ma quella scelta dell’agosto del 1990 non è stata una decisione autonoma: Mattarella era demitiano e con lui si sono dimessi tutti i ministri che facevano capo a Ciriaco (Fracanzani e le quattro “emme”: Mattarella, appunto, Misasi, Mannino e Martinazzoli).

Insomma, non ha fatto altro che seguire gli ordini di scuderia. Tanto che fu subito dopo eletto vicesegretario della Democrazia Cristiana, per non parlare poi delle cariche che seguirono: vicepresidente del Consiglio, ministro, sino all’ultimo cadreghino di giudice costituzionale. Insomma, meglio non esagerare elevando Mattarella ai facili altari, anche perché non mai è finito su una strada.
Anche per non smentire quasi tutti i precedenti presidenziali, sul Colle salirà, dunque, un personaggio in grigio che non farà certamente ombra a Renzi. Un Mattarella in più val bene un patto del Nazareno in meno.
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