L’ASSOLUZIONE definitiva della Cassazione di Amanda Knox e di Raffaele Sollecito dall’accusa di avere commesso l’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia il primo novembre del 2007, giorno dei santi, mi ha ricordato l’incontro in carcere che ebbi, l’anno successivo, con la studentessa americana. Un incontro, quello di Capanne, in un certo senso, premonitore. La “Foxy Knoxy” dei tabloid britannici non mi sembrò affatto la biondina supersexy (allora) descritta dai giornali, ma una ragazza acqua e sapone con due grandi occhi azzurri e luminosi. Di solito, le persone che vedi dietro le sbarre (è il caso di Annamaria Franzoni, la mamma di Cogne) sono disperate, spesso in lacrime. Amanda no, continuò a sorridermi per tutto il tempo del colloquio confessandomi che aveva appena ultimato un corso di chitarra: al saggio finale, aveva suonato “Il mio canto libero” di Lucio Battisti. Lo disse fissandomi con uno sguardo di sfida. A distanza di sette anni da quell’incontro nel penitenziario del capoluogo umbro, Amanda è davvero libera anche nella vita.

QUELLA PRONUNCIATA venerdì sera è stata una sentenza sorprendente e, per certi versi, clamorosa che smentisce tutto l’iter giudiziario precedente. Sconfessa, infatti, quanto, due anni fa, altri giudici della stessa Corte suprema avevano pronunciato. Ma smentisce, soprattutto, una sentenza definitiva che ha condannato l’ivoriano Rudy Guede (sguardo impenetrabile e freddo: l’incontrai nello stesso giorno che vidi Amanda, per quello che possono valere impressioni di un istante) perché ritenuto colpevole del delitto “in concorso con altri”. Scrissi sul giornale che la ragazza di Seattle, dopo quella visita in carcere, non mi era sembrata una cinica assassina, piuttosto una persona proiettata in una realtà tutta virtuale. Ma non è questo il punto. La questione è un’altra. L’ultima assoluzione, al di là dei meriti professionali della difesa dei due imputati (e, in tal senso, Giulia Bongiorno, il legale di Sollecito, ha confermato di essere molto più brava come avvocato che come parlamentare), dimostra un fatto incontrovertibile: che sono stati commessi molti errori, troppi, nelle indagini e, soprattutto, nei procedimenti giudiziari. Di fronte a tanti dubbi e incertezze, è sempre meglio assolvere piuttosto che condannare, ma che giustizia è questa? Una giustizia che continua a sconfessare quanto ha appena stabilito. Una giustizia a zig-zag dove tutto diventa opinabile e nulla è certo. Mettiamoci anche nei panni dei familiari della povera Meredith. Quale fiducia potranno avere maturato nei riguardi dei tribunali italiani? Sull’altro fronte, ricordo anche tutta la campagna di stampa condotta da molti giornali americani che hanno continuato a sostenere l’innocenza della Knox. Chissà, ora che hanno vinto la loro battaglia, se rivolgeranno un pensiero alla vittima. Due ragazzi sono oggi tornati liberi come quella canzone di Battisti, ma il mio cuore va alla vita di Meredith barbaramente spezzata nel fiore della gioventù.

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