È APPENA uscito l’ultimo libro su Romano Prodi, scritto da Marco Damilano, in cui il Professore, pur autodefinendosi un inguaribile ottimista, parla di “missione incompiuta”, a cominciare proprio dalla politica europea. L’ex premier non lesina giudizi sui tanti personaggi che ha conosciuto negli ultimi 30 anni. È il caso di Enrico Cuccia, il banchiere di Mediobanca, che il Professore definisce uomo di grandissima classe: ammette che, quando era presidente dell’Iri, ebbe molti scontri con l’omino di via Filodrammatici, che, comunque, capiva la politica meglio di chiunque altro.

Potrebbe sembrare una “excusatio non petita”, ma è, invece, la pura verità. Pochi si ricordano, infatti, che, quando Prodi lasciò l’istituto di via Veneto, come primo atto, prese congedo da Cuccia. Quel 29 settembre del 1989 squilla il passante “210”, il telefono del banchiere: è il Professore che s’annuncia. Tanto per non smentirsi, il Grande Vecchio parla in francese: “C’est la visite d’adieu, monsieur le President!”. Poi l’incontro prosegue tra dotte citazioni di Maritain e frasi in latino.

Alla fine, sembrano davvero amici per la pelle. Eppure tra i due c’erano state lunghe battaglie, come quella sulla privatizzazione di Mediobanca e, l’altra, molto accesa, sul dibattito mai risolto a proposito delle azioni che si contano o che si pesano. Guardando certe battaglie in corso nel capitalismo odierno, mi chiedo se, adesso, anche Prodi non la pensi come Cuccia: meglio pesare le azioni piuttosto che contarle. Storie antiche, comunque, di un mondo che fu.

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