SE QUASI CENTO ANNI FA, gli austriaci avviarono la spedizione punitiva, in tedesco strafexpedition, contro l’esercito italiano, oggi mi sembra cominciata un’analoga strafexpedition nei confronti del governo Renzi. Questa volta l’accerchiamento al sindaco d’Italia avviene a colpi di libri: i grandi delusi, da Prodi ad Enrico Letta, al sindaco Pisapia, si sono messi a produrre saggi per esternare le loro critiche nei confronti del giovane Matteo. Prese di distanza evidenti, tanto da indurre l’ex premier alla decisione di abbandonare la politica per andare a insegnare a Parigi: una specie di esilio, sia pur dorato, in attesa che le cose cambino. Al di là di casi personali (è chiaro, ad esempio, che il Professore di Reggio Emilia, con tutte le sue relazioni internazionali, sarebbe stato un capo dello Stato di grandissima caratura), l’impressione generale è che Renzi abbia perso una parte di quella grandissima fiducia che si era garantito, un anno fa, con il voto alle Europee. Se ne è reso conto lui stesso e, prendendo la palla al balzo, ha minacciato di andare alle urne se non passerà la riforma della legge elettorale che sta provocando molte polemiche ed opposizioni anche all’interno del partito di maggioranza.

RENZI NON SBAGLIA ad agitare, adesso, lo spettro della crisi politica, anche perché, se è vero che la sua popolarità sta perdendo qualche colpo, è altrettanto evidente che, nel panorama politico, non sembrano ancora esserci valide alternative, sai a destra che a sinistra. A questo punto, prima si va a votare, maggiori sono, in effetti, le possibilità  di una sua vittoria, nonostante tutto. Ecco perché il presidente del Consiglio ha deciso di accelerare mettendo anche in conto il fatto che, alla stretta finale, molti parlamentari del Pd, oggi riottosi, difficilmente diranno no alla nuova legge elettorale per non correre il rischio di restare definitivamente a casa, molto prima della scadenza naturale della legislatura.

IL PROBLEMA è un altro. E’ piuttosto paradossale il fatto che sia tanto urgente una riforma elettorale che, sulla carta, dovrebbe essere messa in pratica soltanto nel 2018. Così come è singolare che, in caso di bocciatura dell’Italicum, si vada a votare subito con la vecchia legge: peggio di9 un Porcellum… E’ proprio come se si andasse da un estremo all’altro. Non sarebbe, allora, meglio prendersi tutto il tempo possibile per  varare un provvedimento più condiviso in Parlamento? Logica vorrebbe che, in questo momento, si ponesse mano alle vere priorità che si assillano,  a cominciare dalla crisi libica che ha, per noi, pesanti riflessi (e, sul tema, Renzi si è tolto subito un sassolino dalla scarpa attaccando Prodi). Ma c’è pure una ripresina appena abbozzata che richiederebbe un impegno totale del governo per consolidare la svolta economica auspicata da tutti, dopo sette anni di recessione. Diamo, dunque, la precedenza alle vere emergenze del Paese e lasciamo, piuttosto, raffreddare le tensioni sulla riforma elettorale che può aspettare. Nonostante il nome che ricorda tanto le Ferrovie, il treno della ripresa che dobbiamo prendere al volo non parte, di certo, dall’Italicum.