SE METTI un romagnolo a giocare in casa, sai già in anticipo di perdere la partita. È capitato al sottoscritto che, l’altra sera vicino a Cervia, ha intervistato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, alla Festa dell’Unità. Speravo di mettere in un angolo l’ex cooperatore che, dopo avere guidato per anni il colosso rosso, ha preso in mano la bacchetta del direttore d’orchestra in un momento difficilissimo per l’andamento dell’occupazione in Italia. Ha provato a metterlo in difficoltà anche un anziano signore seduto in prima fila che, al grido di “Basta parole, vogliamo i fatti!”, è stato redarguito dal ministro, forte del fatto di essere figlio di contadini e di avere cominciato a lavorare ad appena sette anni. Al di là di qualche rimprovero, Poletti si è, comunque, dimostrato il volto buono del governo Renzi. Circondato da giovani ministri in carriera, uomini e donne, si è detto orgoglioso di essere il più anziano componente dell’esecutivo dopo Padoan. Buono sì, ma non fesso. Ha, così, parlato senza peli sulla lingua sul fatto, piuttosto paradossale, che gli avversari più acerrimi delle sue riforme non siano gli imprenditori della Confindustria, ma frange dei “vecchi” del Pd e la Cgil: così va il mondo. Ha ammesso che il titolo della riforma, “Jobs act”, non piace nemmeno a lui e ha ribadito che, in agosto, verrà restituita una piccola tranche delle pensioni (ma solo ai redditi più bassi), dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha imposto di restituire il maltolto da parte del Governo Monti. Poletti si è dimostrato un pragmatico: si vede che è stato solo imprestato alla politica. Fa quel che può, ma certe volte allarga le braccia: come è successo quando l’hanno informato dell’ordinanza emessa dalla Regione Emilia-Romagna che impone le dimensioni, cioè lo spazio vitale, delle qabbie dei merli. E, con uno humor tutto romagnolo, si è chiesto: alla vaschetta del pesciolino rosso chi ci ha pensato? [email protected]