DOPO SAIF, potrebbe toccare a lui, Saadi Gheddafi, 42 anni, che rischia di essere condannato a morte, come è successo, l’altro giorno, al fratello. Il figlio del raìs, estradato in Libia dal Niger poco più di un anno fa, è, infatti, sotto processo ed è, ora, in attesa della sentenza. Sarebbe la parabola di un personaggio che non è stato un dittatore, ma solo un giovane innamorato del pallone. L’andai a intervistare nell’estate del 2003 a Folgaria, quando era in ritiro con la squadra di calcio del Perugia dove ha giocato per un solo anno disputando una sola partita, proprio contro la Juventus, la società in cui i libici erano azionisti. In quell’occasione, Gheddafi junior mi fece due previsioni, l’una si è dimostrata azzeccata, l’altra no. Quella giusta: a proposito di bianconeri, disse che la Fiat, maggiore azionista del “team”, avrebbe superato la crisi senza problemi. Quella sbagliata: affermò che vedeva riavvicinarsi il mondo islamico a quello cristiano. Secondo lui, ci poteva, anzi, essere una convergenza molto positiva tra le due religioni: un gol clamorosamente fallito. Purtroppo non è stato così anche per colpa del padre. Adesso lui stesso rischia di essere giustiziato, a Tripoli, dai Fratelli musulmani. E pensare che, in quell’intervista di dodici anni fa, il terzo figlio del colonnello mi disse di provare “saudade” per la sua Libia. Caro Saadi, oggi facciamo il tifo per te: che tu abbia salva la vita… [email protected]