A buon intenditore, recita un vecchio proverbio, poche parole. A Sergio Mattarella piace condirle di metafore. «La partita è ancora in corso, ma nel complesso posso dire che non ho motivo di lamentarmi del comportamento dei giocatori», osserva il presidente della Repubblica. Pur rinnovando, aggiunge subito, «l’invito ai giocatori a comportarsi con correttezza». Se la partita in corso è quella della politica e il trofeo in palio le riforme, l’arbitro è lui: il Capo dello Stato. Mai tanto calato, finora, nel ruolo che gli compete, come ieri alla Cerimonia del ventaglio. Ero anch’io al Quirinale, tra gli ospiti del tradizionale appuntamento organizzato dalla stampa parlamentare, e il particolare che mi ha colpito di più è stata proprio la metamorfosi di Sergio Matterella. Il giurista che appena sei mesi fa, al suo approdo al Colle, era bersagliato dall’ironia televisiva di Maurizio Crozza e dalla diffidenza di chi lo trovava grigio, anonimo, così riservato da sembrare evanescente, è rapidamente cresciuto. E veste con disinvoltura i panni del Presidente. Consapevole del suo potere e del limite che questo deve avere in una Repubblica costituzionale. Non si può pensare, dice lui stesso, che possa bloccare scelte politiche che competono al Governo o al Parlamento. Né che possa esercitarepotere di veto. È, anzi, il simbolo dell’equilibrio dei poteri. E questa funzione intende esercitarla. Come ha dimostrato ieri. La sua partita, Mattarella, l’ha già vinta.
[email protected]