A LEGGERE i giornali di questo caldo agosto, sembra quasi che l’Italia ce l’abbia fatta. Dopo tanti segnali di allarme dell’Istat, registriamo, finalmente, una crescita economica nel secondo trimestre dell’anno. Un + 0,2 per cento, che dopo il + 0,3 dei primi novanta giorni del 2015, fa gridare al miracolo: finalmente la ripresa c’è e si sta consolidando, visto che abbiamo già archiviato metà dell’anno con il segno “più”. Ma fu vera gloria? Un’analisi più accurata dei dati, confrontati con le statistiche internazionali, ci consiglia di essere molto prudenti: il trionfalismo manifestato da alcuni politici è, infatti, fuori luogo perché, se escludiamo la Finlandia ancora in recessione, siamo pur sempre il fanalino di coda dell’Europa anche dopo avere superato il giro di boa della ripresina. Con il nostro attuale trend, ci supera persino la Grecia: Tsipras si è appena dimesso di fronte alla situazione fallimentare del Paese, eppure qualcosa si muove pure ad Atene. Infatti, di fronte ad una crescita italiana tendenziale per tutto il 2015 dello 0,5 (il governo parlava, invece, dello 0,7) , gli euzones dovrebbero contare su una doppia velocità rispetto alla nostra, l’uno per cento, così come la Francia.

SE CI LIMITIAMO a considerare soltanto il secondo trimestre dell’anno, la risalita ellenica si attesta sullo 0,8. Non parliamo, poi, della Spagna che, fino a qualche tempo fa, era messa molto peggio di noi e che adesso, invece, è in cima alla graduatoria europea: quest’anno toccherà quota 3,1. Buona, pure, la crescita della Gran Bretagna ( 2,6), a differenza della Germania della Merkel che salirà “solo” dell’1,6. Fuori dal Vecchio Continente, gli Stati Uniti metteranno a segno un +2,3 mentre la Cina, la seconda potenza mondiale, farà un balzo del 6 per cento che è, comunque, una bella frenata rispetto al tetto del 10,7 toccato prima del 2015: ecco spiegate le recenti svalutazioni dello yuan con tutte le fibrillazioni delle Borse. INSOMMA, per quanto ci riguarda, non c’è da stare troppo allegri: siamo appena a metà del guado e, proprio per questo, il Fondo Monetario continua a mandarci segnali di grande preoccupazione, tenendo anche conto del nostro debito pubblico record. Eppure siamo stati avvantaggiati da una doppia congiuntura favorevole: il ribasso delle quotazioni del petrolio, che non si è però ancora scaricato sui prezzi della benzina, e la maggiore competitività dei nostri prodotti, grazie al cambio favorevole euro-dollaro e, fino a qualche tempo fa, anche con il franco svizzero. Se aggiungiamo l’inflazione zero, il “made in Italy” avrebbe dovuto puntare a livelli di crescita ben maggiori. Per questi motivi, in autunno, Renzi sarà costretto a mettere in campo tutte le risorse disponibili per cercare di rafforzare la nostra, faticosa, marcia di risalita. A cavallo di Ferragosto ho incontrato il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, e gli ho domandato perché, nei giorni dell’assemblea degli imprenditori, fosse stato molto più benevolo nei confronti del governo di quanto lo sia oggi, proprio quando si vedono alcuni segni “più” che in primavera non c’erano. La ragione è semplice, mi ha detto il numero uno di viale dell’Astronomia: ora c’è l’assoluta necessità di stringere e di guardare davvero ai fatti. I proclami non bastano più. [email protected]