AVEVANO detto che la ripresina era dietro l’angolo, avevano assicurato che la recessione era definitivamente alle nostre spalle: quante parole al vento, quante promesse inutili. Basta guardare i dati del Prodotto interno lordo dell’ultimo trimestre del 2015: un +0,1% che sembra quasi una presa in giro dopo le infinite litanie del governo sulla locomotiva tricolore che stava ripartendo. Se è, infatti, vero che il Pil è, comunque, cresciuto nel 2015 dello 0,7%, ci sono tanti sintomi che dicono, purtroppo, che non siamo affatto sfebbrati, anzi. Dai consumi interni che restano al palo alla stasi degli investimenti, dalle montagne russe delle Borse all’allarme credito – con il terremoto di Banca Etruria che si sta propagando e che finisce per inquinare le falde di altri istituti che credevamo solidi -, tutto (o quasi) sembra andare nella direzione sbagliata. Se l’Italia piange, l’Europa non ride, come scriveva ieri, in prima pagina, l’edizione internazionale del “New York Times”.

IL PRESTIGIOSO quotidiano americano metteva in rilievo come le economie dei 19 Paesi dell’eurozona siano salite, nell’ultimo scorcio dell’anno passato, di un modesto 1,1 per cento che è, comunque, sempre meglio del nostro misero 0,1. Il giornale faceva anche notare, da una parte, che la Gran Bretagna, fuori dall’euro, sta marciando più spedita dei soci del club monetario, mentre, dall’altra, sottolineava il fatto che Grecia, Spagna ed Italia siano, ancora oggi, più povere del 2008, quando cominciò la Grande Crisi.  Insomma, tutti i nodi stanno venendo al pettine: è passata Candelora ma dall’inverno del gelo economico non siamo affatto fuori. A dimostrazione che le speranze di Renzi & C. alla lunga mostrano la corda, così come non reggono certe previsioni non confortate dagli sviluppi successivi. Con un aggravante: all’inizio dello scorso anno continuava ad aleggiare la speranza di una ripresa duratura, adesso siamo, invece, piuttosto incerti e titubanti sul nostro futuro immediato perché non riusciamo davvero ad immaginare cosa ci riserveranno i prossimi mesi. C’è il calo del prezzo del petrolio che, in effetti, dovrebbe favorire il consolidamento della produzione industriale e, in ultima analisi, l’aumento dei consumi, ma, con questi chiari di luna, chi scommette rischia grosso. Prendiamo il caso dei prezzi: una volta l’inflazione zero era considerata la panacea di tutti i mali, ma oggi non è più così. Il problema diventa, dunque, sempre più serio anche perché, a livello europeo, il jolly Draghi che, fino a qualche tempo fa, sembrava una carta sicura, sembra un po’ declinare. Che ne sarà di noi e della fragile navicella Italia in balia di flutti che siamo ben lontani dal padroneggiare? [email protected]