QUANDO si dice una giornata nera. Giovedì scorso la città di Bologna ha subito uno 0-2 senza possibilità d’appello: da una parte il candidato alla presidenza di Confindustria, quel Vacchi, fiore all’occhiello della città, che partiva favorito, è stato superato sul filo di lana dal salernitano Boccia, dall’altra Federica Guidi, figlia di cotanto padre (Guidalberto), pure lei emiliana doc, con un passato in viale dell’Astronomia, è stata costretta a fare i bagagli in quattro e quattr’otto dal Ministero dello Sviluppo economico per essere scivolata sulla buccia di banana del fidanzato. Tutti hanno lodato il tempismo delle dimissioni della ministra che hanno sopito, almeno in parte, la polemica montante. Resta, però, un dubbio sul garantismo a due facce. Provate a farci caso: il premier Renzi ha fatto subito dimettere due ministri che non erano del Pd, ma è stato molto più cauto con quelli del “giglio magico”. Maurizio Lupi, che oggi è tra i maggiori “supporter” di Parisi, candidato sindaco del centro-destra per Milano, è stato costretto a dimettersi per via di quel Rolex regalato al figlio.

E IN un Paese fatto così introdurre una fattispecie penale come quella del “traffico di influenze illecite”, che ora pende sul capo del ministro dimissionario Federica Guidi e del suo fidanzato Gianluca Gemelli, significa armare la mano dei pm riconoscendogli, politicamente parlando, licenza di uccidere. Non c’è infatti leader politico o amministratore pubblico o grande imprenditore privato che non possa essere legittimamente considerato colpevole di questo strampalato reato frutto dalla fervida immaginazione di un ministro del governo Monti, la potente e assai “influente” Paola Severino. Un reato così anomalo da suscitare le perplessità dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, realisticamente preoccupato che si finisse così per sanzionare “condotte in altri Paesi del tutto lecite’’. Che questo reato sia imputato o meno a chicchessia dipende solo dall’umore con cui si alza al mattino un pubblico ministero e dal suo desiderio di finire sulle prime pagine dei giornali. Dell’inchiesta della procura di Potenza si sa ancora poco.

A OGGI, è emerso solo che tutti coloro che hanno potuto esercitare la propria influenza attorno alla costruzione del centro oli della Total a Tempa Rossa sembrano averlo fatto: dal ministro Federica Guidi all’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, dal governatore renziano della Basilicata Pittella alla sindaca cuperliana Rosaria Vicino, passando per la fondazione dalemiana Italianieuropei. Può essere che emergano reati più consistenti. Allo stato, però, viene da chiedersi se valga la pena di mettere a rischio quasi due miliardi di investimenti e 4mila posti di lavoro per punire qualche raccomandazione e un’ordinaria attività lobbistica. Sappiamo che così la pensa anche Matteo Renzi, attorno al quale sono in molti a ritenere che la procura di Potenza si sia addirittura mossa per finalità politiche. Ma se questo è il retropensiero, aver indotto alle dimissioni il ministro Guidi non è stato un segno di forza, bensì di debolezza. Un assecondare il vento calandosi sul viso una maschera come nei film di Alberto Sordi.
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