Anche quest’anno, per fortuna, i cinefili milanesi hanno potuto avere “Le vie del cinema”, la preziosa rassegna che propone le pellicole in concorso a Venezia. Preziosa soprattutto perché consente di vedere opere che difficilmente, o forse mai, troveranno un’adeguata programmazione nelle sale. Tra queste un posto d’onore spetta a “Dancing with Maria”, documentario d’arte, capolavoro di genio italiano. Anche di artigianato cinematografico, visto che il regista, Ivan Gergolet, ha trascorso ben tre anni seguendo ogni passo di una danzatrice che i suoi seguaci conoscono bene: Maria Cruz, argentina di origine europea, e’ una splendida novantenne che emana magnetismo e aggraziata energia. La sua danza terapia, celebre in tutto il mondo, e’ un viaggio ai confini dell’assoluto, che il film percorre seguendone, e spesso ricreandone grazie alla colonna sonora di Luca Ciut, i suoni inconsueti, ritmi e sonorità dell’anima e del corpo.
Danzare il silenzio, questa la magnifica scoperta della bella Maria, ancora giovanissima. Con lei non solo chi è handicappato fisicamente riesce a riconnettersi al movimento primigenio, ma perfino chi non sente e non parla, come Maria Garrido. La storia della bambina trovata in una grotta della Patagonia e sottratta all’isolamento totale dal mondo e’ il cuore doloroso e pulsante dell’opera, il battito che la rende così viva e amorosa. Per girare la scena finale, un mare umano che scorre su una grande arteria di Buenos Aires, per travolgere deserti di umanità e cemento, sono accorse oltre cinquecento comparse. “Molti hanno preso perfino l’aereo” spiega il regista. Ora la grande sfida. “Dancing with Maria” non andrà su Dvd nonostante le molte richieste e la sua intrinseca qualità didattica, perché autori e produttori pensano, giustamente, si debba vedere su grande schermo. Sperano nel tam tam sui social network, a cui volentieri mi associo, perché si riesca a trovare distribuzione a un’opera che tutti dovrebbero vedere, per dare un nuovo, adeguato senso, alla propria vita.