Con un Pd che non perde occasione per creare problemi, vedi riforma del Senato, vedi Titolo V, ma se andiamo indietro vedi tutto, con un partito così e con un paese che non è quasi più capace di reagire, si capisce perché il premier Renzi abbia detto a Bruxelles che «il problema dell’Italia non è l’Europa ma l’Italia». Martedì comincia il semestre della nostra presidenza in Europa, semestre italiano attorno al quale sono stati versati fiumi di retorica fin dai tempi di Monti e Letta, su cui tutti erano pronti a giurare sarebbe durato fino al 2015 perché l’Italia «non può cambiare governo prima del semestre europeo», ricordate? Poi l’abbiamo cambiato e non è successo nulla di drammatico. Nel giornale di oggi cerchiamo di spiegare che cosa sia questa presidenza di turno, che durerà quanto una farfalla, ovvero un periodo così insensato, quanto può essere un semestre, per qualcosa che ha a che fare con la politica che ha notoriamente bisogno di tempi lunghi non di fugaci assaggini come è una turnazione che non arriva nemmeno a 200 giorni. Ma quello che raccontiamo nel giornale di oggi è sufficiente a farci capire che in questi sei mesi, nonostante tutto, se non spezzeremo le reni all’Europa certamente avremo l’opportunità di influenzarla più di quanto non siamo in grado oggi.

Nonostante che il vertice Ue e l’attivismo di Renzi abbiano già consentito di registrare una significativa correzione di rotta rispetto a quella seguita nella stagione dell’austerità, che ha massacrato le nostre aziende e che almeno nelle enunciazioni è stata dichiarata chiusa e da perseguire non più con furore teutonico. Certo il volto e la storia giurassica del «nuovo» presidente designato della Commissione europea, ovvero di quella specie di governo che assomiglia più a un’assemblea di quartiere, tanto affollata quanto vuota di potere vero, con uno come Jean-Claude Juncker ci facciamo poche illusioni sulla possibilità di cambiare nella nostra e altrui storia e soprattutto in quell’idea d’Europa, che in chi l’ebbe alle origini fu generatrice di sogni e non di tecnocrati all’obbedienza di questo o quel padrone, in questo caso la Cancelliera Angela Merkel, di cui gli inglesi dicono perfidissimi Juncker sia il cameriere.

Capisco la simpatia che la Cancelliera ha espresso per il premier italiano, che almeno rappresenta un ricambio e una novità di forma e sostanza ma il resto attorno è triste. Il cammino del cambiamento sarà lento, come tutto quello che ci aspettiamo, l’abbiamo imparata bene la lezione dei compiti. Abbiamo capito tutto e abbiamo capito anche, perché ce l’hanno detto e ridetto, che non dobbiamo illuderci. Bene. Ma il punto è proprio questo. Noi non ne vogliamo più sapere di delusioni, di sconfitte e perfino di sagge mediazioni sebbene non inclini agli incantatori di serpenti. Ma dopo tante delusioni abbiamo un gran bisogno di sognare o per meglio dire di un sogno per cui valga la pena vivere con quel che ne consegue.