IN QUESTI giorni è in distribuzione un film, “Diplomacy”, che ricorda la mancata distruzione di Parigi da parte dei tedeschi nell’agosto nel ’44 e che fa venire in mente alcune questioni di attualità. La salvezza di Parigi dovuta alla sofferta decisione del governatore tedesco che era il generale Dietrich von Choltitz ricorda immediatamente la meno fortunata sorte che toccò a Firenze, dove venti giorni prima, erano stati distrutti tutti i ponti – meno il Ponte Vecchio – e il quartiere più antico della città, quello che era stato conosciuto da Dante Alighieri. A Firenze i fatti si svolsero con la regia, gli inganni, la cecità, la stessa brutalità con cui a Parigi i tedeschi di Hitler avrebbero preparato poi la distruzione della capitale francese con la programmata rottura dei ponti e degli argini della Senna e la distruzione di Notre Dame, del Louvre, dell’Opera, della Torre Eiffel, piano voluto dal Führer che voleva far pagare alla Ville lumiere la triste sorte capitata a Berlino sotto le bombe alleate. Invidia, vendetta, i sentimenti più abietti di un potere che stava per finire e che il generale von Choltitz ebbe il coraggio di fermare, non si sa se per per convinzione o per vantaggio personale o come merce di scambio per salvare la propria famiglia.

LA SECONDA questione che emerge riguarda il rapporto tra arte e guerra in un caso nel quale la percezione consapevole della bellezza produce come risultato la vittoria dell’arte sulla forza almeno nell’animo di quei guerrieri che hanno una pur approssimativa capacità di riconoscere il valore culturale delle opere minacciate, sicché di fronte all’arte il guerriero può rimanere imbelle, magari con il desiderio di depredare, di razziare, di rubare ma con l’incapacità di distruggere, siglando in questo modo l’ammissione della superiorità dell’ opera d’arte su tutto e anche sull’arte della guerra. Quindi in un caso come quello di Parigi emerge come un’autentica banalità il dire che con la cultura non si mangia, perché la storia ci dice che non solo si mangia ma si riesce a vivere, a sopravvivere e perfino a salvarsi.
Si riesce a dominare, sempre che si sia consapevoli del patrimonio che ci è stato affidato e che abbiamo ereditato. E si dica questo non ignorando i casi contrari, vedi le distruzioni del fanatismo islamico oggi, quando le armi sono in mano ad individui talmente abbrutiti da non avere la minima cognizione per capire. Invece anche a Firenze i saccheggiatori sentirono lo scrupolo di tentare di fermarsi o di circoscrivere le loro devastazioni, non minando il Ponte Vecchio e interpretando gli ordini di Hitler che aveva chiesto di risparmiare il ponte “più artistico”, ma distruggendo il più bell’esempio nel mondo di ponte rinascimentale, il Ponte Santa Trinita, come se quello non fosse altrettanto artistico e per il quale comunque chiesero ai fiorentini che venissero spostate nel giro di poche ore le statue rappresentanti le quattro stagioni, ordine impossibile da eseguire, date le circostanze e le dimensioni delle opere.
CONSIDERANDO anche questi dettagli, si può ammettere che un barlume di lucidità forse riuscì a consegnarcelo anche l’infamia della distruzione del centro di Firenze, nonostante che i tedeschi avessero promesso che sarebbe stata città aperta, quindi fuori dai combattimenti.
L’altro aspetto che ha contenuti di estrema attualità riguarda la capacità del console svedese a Parigi, Raoul Nordling, di convincere il generale tedesco a desistere dai suoi piani distruttivi attraverso un serrato dibattito tra i due, che in realtà avvenne diluito nei giorni e che nel film è riassunto in una versione teatrale che immagina l’appassionante confronto durare tutta la notte tra il 24 e il 25 agosto del ’44, giorno della liberazione parigina. In questo caso vien da riflettere sulla superiorità della parola sulle armi, perché il diplomatico riesce a mettere in pratica una strategia dell’assedio verbale, che nonostante una pugnace resistenza, disarma il generale e le sue meccaniche, ma troppo semplici, convinzioni secondo le quali agli ordini non si deve mai disobbedire. E qui viene l’altra grande questione buona per ogni epoca, situazione e non solo per uomini che indossano la divisa, la questione per cui c’è sempre un limite oltre il quale non è lecita l’obbedienza all’ordine ricevuto.
C’È UN PRINCIPIO morale superiore che sovrasta ogni autorità e la distruzione dell’opera umana come si esprimeva (come si esprime, grazie a Dio) attraverso le bellezze di Parigi apparve al generale come inaccettabile prezzo da pagare per eseguire un ordine che non avrebbe cambiato l’esito della guerra. E guarda caso anche l’ordine di distruggere Firenze non servì a cambiare la storia ma lì gli stupidi ubbidienti vennero trovati. Nonostante anche Firenze potesse disporre della superiorità morale di un console, in quel caso del console tedesco Gerhard Wolf, che si prodigò per salvare il maggior numero possibile di capolavori minacciati dall’esercito del suo paese e dai saccheggi di Goering e Hitler, che comunque depredarono un terzo del patrimonio artistico fiorentino e facero sparire, non più ritrovate, 1600 opere d’arte.