ABITAVA davanti al golfo in questo palazzo di quattro piani color beige chiaro. Beige chiaro come gli abiti di lino che indossava, la camicia bianca, la pochette in tinta, la stilografica d’oro nel taschino, il pantalone ascellare un po’ all’antica, l’orologio a cipolla con la catena, le scarpe bianche. E il bocchino di tartaruga con la sigaretta al mentolo. Per i napoletani era ’o comandante.

ERANO gli anni in cui c’era chi si arricchiva e chi finalmente non faceva più la fame. Gli anni in cui gli scaricatori di caffè avevano i pantaloni col trucco, con le tasche lunghe fino alle ginocchia che con uno strappo nella balla riempivano di chicchi. Gli anni in cui a San Gregorio facevano la corrente, non in senso di energia elettrica ma in quello immaginifico di corrente marina ovvero di corrente di refurtiva. Arrivavano i camion americani carichi di roba e uno saliva sopra per fare la corrente e gli altri giù a fare il resto. Quando arrivava a destinazione il camion era bell’e svuotato. Quello che faceva la corrente saliva su a svuotarlo e gli altri a terra raccoglievano la merce che buttava giù durante il viaggio, finché il lavoro non era finito.

QUANDO C’ERA ’o comandante c’era lavoro per tutti, guadagnavano poco ma guadagnavano tutti. Lui guadagnava moltissimo. Una volta pretese che la banca gli portasse 2 miliardi entro sabato. Il direttore stava per piangere, proprio non ce la faceva a trovare tanti soldi per sabato. Gli fece sapere: per sabato e non un giorno di più. Non si sa come fece quel disgraziato ma sabato si presentò con i due miliardi in una valigetta e ’o comandante una volte che li ebbe in mano disse: «Peppi’ non li voglio più, volevo solo metterti alla prova».

LE DONNE impazzivano per lui, ne ha sempre avute più di due. L’ultima volta che si è sposato aveva 84 anni, la sposina 35. Stavano insieme da quando lei aveva 16 anni e lui era già sposato e aveva figli. Aveva una concezione personale del tempo. Due suoi amici si fidanzarono. Lui aveva 78 anni. «È ancora giovane», disse Achille Lauro. Lei meno di 40. «’nu poco vecchiarella», gli sembrava. Sapeva essere eccessivo. Una volta voleva comprare un collier per un’amica ma la gioielleria era chiusa e non si trovava chi aveva la chiave. Il gioielliere fece rompere il vetro del negozio per accontentarlo. Era bravo a fare gaffe, e in questo ricorda qualcuno. Quando ricevette Totò, lo accolse dicendogli: «Ecco il nostro buffone nazionale», l’attore girò i tacchi e se ne andò via offeso.

NON GLI BASTAVA essere l’armatore con la flotta privata più grande del Mediterraneo, voleva fare politica, diventò sindaco, lo adoravano e fondò un suo partito, il partito monarchico popolare. Anche qui ricorda qualcuno. La Dc lo appoggiò finché non se ne sbarazzò perché non le serviva più. Silvio Gava lo spiava con una cimice che aveva messo in un candelabro nello stanza del sindaco. Achilleugenio Lauro, il nipote, ha scritto un libro sul nonno. Titolo “Il Navigatore”, Mondadori. Racconta l’episodio. Dopo aver incontrato Gava dice a un assessore: «Ho incontrato Gava. Non so se faccio bene a fidarmi di un democristiano, ma dovrei averla spuntata con quelle carogne». Gava se ne prese a male. In confronto alle intercettazioni di oggi era acqua fresca.

È UN MOMENTO di riscoperta per Achille Lauro, l’armatore che alla fine della guerra aveva solo due o tre navi e arrivò ad averne 260. Un impero che ha avuto il dolore di vedere dissipato. Quasi in contemporanea è uscito un altro libro di Corrado Ferlaino con Toni Lavarone, edizioni Minerva.

C’È UNA DOMANDA che riguarda questo gran personaggio che conobbe grandezze e miserie. Fu un Berlusconi ante litteram? Per certi versi sì per altri no. Entrambi maghi negli affari, Lauro fondò la prima tv privata, fu editore del quotidiano “Roma”, andava matto per le donne, era attratto dalla politica, ebbe un periodo di grande successo e ancora lo rimpiangono a Napoli, fondò un suo partito. Uno era nato a Sorrento l’altro a Milano e a cinquant’anni di distanza. Ma in certe cose sembrano uguali come gemelli.

IL NIPOTE ricorda il dirottamento organizzato dai terroristi palestinesi della nave Achille Lauro, che dette a questo nome notorietà internazionale. E ricorda il nonno quando il padre lo mandò a fare il mozzo su un veliero in un viaggio maledetto in cui il comandante morì per una lisca di pesce che gli era rimasta in gola e il secondo ufficiale diventò cieco. Si salvarono perché il vento li spinse a Tangeri. Con quel viaggio Achille, che aveva 13 anni, pagò una colpa. Lo avevano trovato in casa mentre faceva l’amore con una serva.