AL COMPLEANNO di Amici miei è venuto anche l’architetto Rambaldo Melandri, il più romantico del gruppo, quello che si sveglia la mattina presto per andare a portare il San Bernardo a fare una pisciatina, Birillo, quello che si innamora della donna sbagliata, la moglie abituata a star bene del primario Alfeo Sassaroli. Il Melandri quello che fa le zingarate come gli altri, non ne può fare a meno, e quando si accorge di aver fatto il passo sbagliato con quella donna chiede aiuto agli amici e poi liberato si lancia in un inno alla vita: “Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”. Insomma l’architetto Rambaldo Melandri è il meno zingaro di tutti o se volete il più coglione del gruppo, ma è venuto lui alla festa di Amici miei perché gli altri non potevano. Son tutti morti.
Si sono ritrovati, direi Firenze s’è ritrovata in piazza Santo Spirito cuore di San Frediano a vedere il film come fosse stata la prima volta che lo vedevano e lo facevano come quello di un altro film famoso che conosceva tutte le battute a memoria. Come la supercazzola del conte Mascetti. “La supercazzola prematurata, tarapia tapioco con lo scappellamento a destra come se fosse antani”. Che non vuol dire nulla ma è un modo per ridere.

DEV’ESSERE per questo che la supercazzola è entrata nel linguaggio dei politici che amano dire che quella detta dagli altri è una supercazzola dimenticando che ormai non dicono che supercazzole. Con la differenza che quelle di Tognazzi nel film di Pietro Germi, che non potè realizzarlo perché si ammalò e perciò venne diretto da Mario Monicelli, le supercazzole sono come le zingarate ovvero goliardate che nascondono la decisione si sfuggire ai problemi, di non risolverli, di non affrontarli, insomma di disprezzarli, invece le supercazzole di tanti politici sono il massimo che partorisce la loro intelligenza.
È un film di quarant’anni fa, eravamo tutti più giovani. Sarebbe possibile farlo oggi un film così? Probabilmente no perché siamo così a terra che non abbiamo più né capacità né voglia di ridere. E poi i treni oggi hanno i finestrini sigillati e i viaggiatori non possono sporgersi fuori per essere presi a schiaffi alla stazione di Santa Maria Novella, come fecero gli amici miei in quel memorabile scherzo nel quale il Perozzi, il giornalista della Nazione, schiaffeggia anche il figlio, un tipo tutto d’un pezzo, che è su quel treno. “Oh, che parti sempre te!”, gli grida il Perotti e poi più avanti riflette: “O ero io l’imbecille che la vita la pigliavo tutta come un gioco o era lui che la pigliava come una condanna ai lavori forzati o eravamo tutt’e due”.

MORIAMO pure di nostalgia perché l’Italia di oggi non è più buona a fare nulla e non sarebbe capace nemmeno di fare le zingarate. Secondo i modi raccontati da questo film perfetto e secondo il precetto che ne dà il Perozzi: “Una partenza senza meta e senza scopi, un’evasione senza programmi che può durare un giorno, due o una settimana. Una volta, mi ricordo, durò venti giorni, salvo complicazioni”.

IL CINEMA davanti al quale si ritrovano gli amici miei, il Metropolitan di piazza Beccaria, non c’è più, avevano aperto l’Astra Due ma hanno chiuso anche quello, il bar del Necchi in via dei Renai che in omaggio a Monicelli avevano ribattezzato Bar Amici miei non c’è più e ora c’è un locale tutto fighetto, lo scantinato dove va a star di casa il conte Mascetti c’è ancora in piazza dell’Isolotto. Ma gli altri dove sono andati? Dov’è la Titti. Titti dove sei stata? Ci vediamo domani ma non alla mezza perché a mezzogiorno ho un pignoramento! Ci vediamo domani, al solito posto.