LA DINASTIA Kim, che da tre generazioni procura dittatori alla Corea del nord, Kim Il-Sung, Kim Jong-Il e Kim Jong-Un, nonno padre e figlio, ha sempre avuto un debole per il cinema, tant’è che il secondo dei tre si fece costruire uno studio cinematografico, di Stato naturalmente, essendo comunisti, più grande del più grande studio che c’è ad Hollywood. Non solo. Sono stati talmente ossessionati dalla voglia di affidare le loro produzioni ai migliori registi e attori che non avendone andavano a rapirli nella Corea del Sud come fecero con Shin Sang-Ok e la bella Choi Eun-Hee, paragonabili al nostro Fellini e alla nostra Sofia Loren. Per la verità il vizio di rapire l’hanno sempre avuto, anche per altre motivazioni. Basta che dicano: “Oggi mi servirebbe, che so?, un buon dentista”, che vanno a prenderselo a Seul e se rimangono soddisfatti se lo tengono sennò lo chiudono in qualche campo di reclusione. Si calcola che abbiano rapito più di 4000 persone nel Sud.

Ingannati dalla convinzione che l’erba più verde sia quella del vicino pensavano che i migliori attori fossero nel Sud. E invece i migliori ce l’avevano a casa loro, ed erano loro stessi, i componenti la dinastia Kim, come dimostrano i video di Pyongyang che mostrano parate militari e congressi di partito dalla regia perfetta.

IN VERITÀ i coreani del Nord avrebbero qualche motivo per essere insoddisfatti dei loro governanti e invece ne sono, o almeno sembrano, entusiasti. Al punto da inventarsi che la nascita dei loro dittatori non è molto diversa da quella di Gesù Bambino. Ad esempio Kim Jong-Il, raccontano, nacque in un’umile capanna che era su un monte coperto di neve e di foreste. Vi si era rifugiata, non avendo altro albergo, la genitrice che lì potette riscaldarsi al calore di un debole focherello. Mancando il bue e l’asinello. E appena il bambino nacque, nel cielo comparve una stella fiammeggiante. E una rondine annunciò che era nato il figlio di Kim Il-Sung e il primo vagito del neonato richiamò il popolo che uscì dalle baracche e accorse a cantare di gioia la nascita del salvatore. E qui se non c’è stato plagio, qualche scopiazzatura dev’esser scappata.

CON la differenza che Gesù raccomandava di porgere al nemico l’altra guancia mentre Kim predica che “i nostri migliori amici sono i fucili”. Così è scritto nella sacra scrittura perché nella cronaca vera il piccolo Kim Jong-Il è nato in un accampamento militare sovietico e gli fu imposto perfino un nome russo, Yurei Ilsenovic Kim.

Il libro di Paul Fischer “Una produzione Kim Jong-Il” edito da Bompiani racconta la storia dei due divi cinematografici rapiti cui si faceva cenno prima ma allo stesso tempo parla delle condizioni in cui vive questo Paese nato dalle follie della geopolitica della Guerra Fredda, che aveva concepito il mondo diviso in due fino ad arrivare al paradosso di dividere in due anche Paesi che erano stati uniti, come fu il caso delle due Coree, quella del Sud finita nell’orbita americana e quella del Nord in quella sovietico-cinese.

UN DESTINO che i 70 milioni di coreani hanno duramente pagato perché quando è finita l’Urss anche l’economia assistita di Pyongyang è crollata. Il Paese è stato spazzato da una carestia terribile e si calcola che nel solo 1997 ci siano stati tra i 700 mila e i 2 milioni di morti per fame, la gente mangiava la corteccia degli alberi, i genitori mangiavano i figli, c’era il mercato nero di carne umana.

UNA SCIAGURA che fece seguito ad una, considerata ancora maggiore dal popolo della Corea del Nord, ovvero la morte del loro dittatore, il Grande Leader, che li lasciò all’età di 82 anni, affidandoli all’attuale presidente, che oggi ha 32 anni, è il più giovane capo di Stato del mondo, e si vede. Per il dolore della perdita ci furono decine di suicidi, i funerali durarono due giorni, ovviamente gli imbalsamatori russi abituati alle mummie del Cremlino accorsero a mummificare anche lui, il corteo funebre si svolse su un percorso di appena 40 chilometri.

NULLA è cambiato dai tempi del nonno Kim Il-Sung, nelle carceri si presume vi siano 200 mila detenuti, non necessariamente per una colpa. Se per la disperazione si suicidano per ritorsione vengono uccisi i loro familiari. Eppure a vedere i filmoni del nipotino, a parte qualche ministro fucilato perché colto a sbadigliare mentre parlava il grande capo, continuano ad essere tutti felici e contenti. O almeno così sembra. Che siano loro, i 70 milioni di sudditi coreani, i più bravi attori di questo film?