ECCO un’altra mia esperienza da pendolare che spero possa interessare. Arrivo alla stazione di Monza alle dieci del mattino di un martedì di fine luglio. Attraverso il sottopassaggio per uscire e mi ritrovo sotto i piedi tre ragazzi neri che dormono in mezzo alle persone, senza che nessuno abbia da ridire. Immagino l’impressione che potrebbero trarne eventuali turisti. Raggiuta l’uscita, è un proliferare di gente poco raccomandabile. Al ritorno la situazione è ancora peggiore. Simone, Meda

IL NOSTRO LETTORE prosegue nella sua storia di ordinaria paura ferroviaria e ci spiega perché il ritorno è stato ancora peggiore dell’andata: “Alla fermata dei bus, sono circondato da stranieri ubriachi che molestano verbalmente gli altri presenti. Uno gira in bici disturbando gli autisti dei pullman, altri lanciano occhiatacce alle ragazze. Non è una questione di nazionalità, sia chiaro: di fianco a me ci sono tanti altri stranieri, evidentemente persone perbene, che hanno paura quanto me. Questo è ciò che offre Monza a chi arriva in stazione per visitarla o per lavorare”. Che le nostre stazioni si trasformino, spesso anche senza attendere la discesa complice dell’oscurità, in angiporti, anfratti pericolosi, ricoveri di sbandati o peggio, è sotto gli occhi di tutti.

Quella di Monza è un pezzo di storia delle patrie ferrovie. Il primo fabbricato, costruito in stile neoclassico, venne inaugurato nel 1840 per essere poi sostituito dall’attuale nel 1884. Peccato. Peccato che un monumento del genere sia costretto a sopportare troppi episodi di violenza, brutalità, pericolo. Per rimanere ai più recenti. Un paio di mesi fa una lite fra giovani è degenerata e sono spuntati catene e una mazza di baseball. In febbraio una ragazza ecuadoregna è stata rapinata del cellulare mentre saliva le scale che portano ai binari. Qualche giorno prima due ventenni di Lissone erano stati affrontati da cinque uomini che impugnavano cinghie e bottiglie di vetro.

La domanda è banale nella sua semplicità ma non possiamo non porla: è tanto difficile controllare, ristabilire ordine e tranquillità, per chi viaggia e ci lavora, in scali e dintorni che non sono né Milano Centrale né Roma Termini e neppure la stazione di Paddington a Londra? La risposta deve venire dalle forze di polizia e prima ancora dalle ferrovie e dagli amministratori locali. Non è (o meglio non è solo) una questione di etnie. Ce lo dice e ce lo insegna il lettore in un brano della sua mail che ripetiamo con piacere: “Non è una questione di nazionalità, sia chiaro: di fianco a me ci sono tanti altri stranieri, evidentemente persone perbene, che hanno paura quanto me”. Parola di grande civiltà: la paura accomuna le persone perbene. La violenza no.
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