SONO PENDOLARE anche io (linea Lodi-Milano) e frequento Scienze della comunicazione all’Università Statale. Ho scoperto che si può pendolare più leggeri se si tiene un taccuino, come faccio io. Mezza paginetta come la seguente, che mi permetto di inviare. Non vorrei annoiare oltre il lecito, perciò mi sono limitata ad una sola noterella. Non c’è nulla di inventato. Anche perché, qualche volta, la realtà è più forte della fantasia. Giorgia Mazzi, Lodi

UNA VOCE cantilenante segnala l’arrivo alla stazione di Rogoredo. Un sussulto mi risveglia da quel sonno leggero di pendolare mattutina. Scendono diversi passeggeri a questa fermata. Scorro negli occhi di questa moltitudine un diverso mistero, che mi sfugge purtroppo. Non lo potrò conoscere mai. Chiusa nei miei pensieri, non faccio caso allo sconosciuto che mi siede accanto. Eppure, senza sapere il perché, sento un brivido di paura lungo la schiena. Tiro su bene la zip del giubbotto come un riccio in pericolo. L’uomo che mi respira di fianco emana un odore intenso. Mi ricorda la casa dei miei zii quando ci sediamo a tavola ad aspettare qualcosa che brucia sulla brace. «Vai scuola?». «Beh, sì», rispondo con calma apparente. Di nuovo silenzio, finché lui gentilmente mi sorprende con «Ne vuoi un pezzo?», una merendina che devo rifiutare per qualche chilo di troppo.

Torno a proteggermi dietro un libro, “Rosso Istanbul” di Ferzan Ozpetek. «Si guardano ed è come se Anna leggesse, negli occhi di quello sconosciuto, una domanda: “chi sei e da dove vieni? E, soprattutto, che cosa fai in giro da sola di primo mattino?”». Quanto è strana la vita: è la stessa domanda che mi sono rifiutata di leggere negli occhi dell’emigrato arabo al mio fianco, pendolare come me. Mi rimprovero di quel mio silenzio, che a volte vale mille parole, mentre a volte è solo una difesa davanti a un mondo che fa paura. Il mio paraocchi sul mondo. Come vorrei poter guardare nello stesso modo in cui ho imparato a disegnare la prospettiva a scuola: quelle due rette convergenti distanti e aperte a bordo del foglio, che diventano così vicine dopo un lungo tragitto. Forse sapemmo venirci tutti incontro. Forse conosceremmo un po’ di quel mistero nascosto negli occhi di tutti i pendolari mattutini.

Termina qui la “mezza paginetta” che ci ha inviato Giorgia. Dobbiamo ringraziarla. In poche righe ha dimostrato che il pendolarismo, oltre a fatica e disagio quotidiano, può essere anche riflessione, dialogo, apertura verso gli altri. Anche quando, nella carrozza di un treno, in una mattinata uguale alle altre, ci si trova di fronte ad un mondo diverso. Un mondo che, come scrive Giorgia, può anche fare paura. [email protected]