QUELLA NOTTE, quella maledetta notte di quasi 17 anni fa, fra il 4 e 5 giugno 1999, a Madonna di Campiglio. Anche un procuratore della Repubblica, Sergio Sottani di Forlì, pur chiedendo l’archiviazione del caso, ha spiegato che l’idea del complotto organizzato dalla camorra per far perdere il Giro d’Italia a Marco Pantani «è credibile, ma non ci sono prove».
Cosa successe davvero in quelle dodici, ancora misteriose ore, di 6125 giorni fa? Come mai la mattina del 5 giugno il re del ciclismo e del Giro, Marco Pantani, aveva l’ematocrito sballato? Troppa Epo, cioè si era dopato per vincere? Oppure, come hanno sempre sostenuto lui e la sua famiglia, è finito in un tranello? «Il venerdì sera sapevamo tutti che la mattina successiva sarebbe passato l’antidoping. Anche in sala stampa non si parlava d’altro. Sottovoce si diceva: ‘Arrivano i vampiri domattina’. Marco non era un fesso e non nascondiamoci dietro a un dito; se anche si fosse dopato, c’erano mille modi per far tornare a posto i livelli del sangue. Io non so se Marco si sia mai dopato, ma vi posso assicurare che, in tanti anni, non l’ho mai visto prendere nulla di proibito, al massimo del ferro che non è proibito». Chi parla è Andrea Agostini, allora portavoce di Marco Pantani e della Mercatone Uno, ma in realtà molto, molto di più. Agostini è stato compagno di scuola, di banco, delle prime pedalate, della vita del Pirata. Per dieci anni non ha parlato di una storia che gli fa ancora male, perchè fa male per forza vedere finire così l’amico del cuore. Da poco ha ricominciato a ricordare. E raccontare.

L’ARRIVO dei ‘vampiri’ era davvero il segreto di Pulcinella di Madonna di Campiglio. «Sì – prosegue Agostini – perchè come da prassi, il Coni doveva fare tre controlli antidoping durante il Giro d’Italia. Due erano già stati eseguiti, ne mancava uno. Escluso un blitz la mattina del carosello finale del Giro, cioè la domenica, i medici dell’antidoping non potevano che arrivare sabato mattina».
E così fu.
I ªvampiri’ bussarono alla porta di Pantani all’alba, prelevarono il suo sangue e fu la fine: di un campione, di un mito sportivo, forse anche di un uomo. Addio Giro, con l’ombra infamante del doping.
Ematocrito a 51,9 il verdetto di condanna. Ma non tutti sanno che poche ore prima del blitz dei ‘vampiri’, il livello del sangue di Pantani era molto più basso: 48. Regolarissimo. Abbondantemente entro il limite (50) previsto dalle norme per evitare lo stop per motivi di salute. «Il venerdì sera – rivela Agostini – a scanso di equivoci lo staff sanitario della Mercatone Uno, così come facevano tutte le squadre, misurò l’ematocrito di Marco: era 48. Era 48 anche sabato pomeriggio, quando di ritorno da Madonna di Campiglio ci fermammo per fare un ulteriore controllo a Imola». 48 il venerdì sera, 52 il sabato mattina, 48 di nuovo il sabato pomeriggio: quindi, cos’è successo? Pantani è impazzito e si è dopato fra un controllo e l’altro, oppure c’è stato uno scambio di provette o un’alterazione delle analisi? Chissà se la storia avrà mai una verità vera.

QUEL SABATO mattina dopo il verdetto fu devastante. «Marco prese a pugni una finestra e si tagliò, ci riunimmo prima di andare in pasto alle telecamere e a settanta giornalisti, ai quali dissi: «E’ accaduto qualcosa di strano, è tutto inspiegabile». E Marco insisteva: «E’ un complotto».
Agostini ora diventa Andrea, l’amico di una vita del campione. «Marco disse: ’Stavolta non mi rialzo più’. Tremai, ma intuivo che sarebbe andata cosi. Quella storia l’ha trascinato nel baratro, non l’ha mai metabolizzata». Dal doping (presunto) alla droga (purtroppo sicura): il passo è stato brevissimo. Agostini, pardon Andrea, ci mette la faccia e il ricordo di un’amicizia vera: «Con Marco ne abbiamo fatte di tutti i colori, sin da bambini. I primi giochi, le prime cazzate, le prime donne. Ci siamo anche ubriacati, certo, cose da ragazzi. Ma giuro che non ho mai visto Pantani assumere droghe, di nessun tipo. E io con Marco stavo il 90% del tempo».
Il doping forse, ma chissà…. La droga mai, fino a quella maledetta notte. Poi tanta, troppa polvere bianca, per la rabbia di un leone ferito, forse fregato. E una fine, tragica e solitaria, in un alberghetto di Rimini, il 14 febbraio 2004.1616