Pacem in terris

Giudici, un vescovo sulle orme di Martini

 

(Monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia)

BIBLISTA, precursore, antipapa. O più semplicemente, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002 e figura simbolo della Chiesa legata allo spirito del Vaticano II. Esistono diversi modi per definire il cardinale Carlo Maria Martini. Ciascuno è viziato dalla lente di ingrandimento adottata per indagare la lezione di un pastore mai banale, capace di intuizioni e prese di posizioni tali da interrogare anche chi ha una provenienza diversa dall’arcivescovo. Così è stato per la Cattedra dei non credenti, per la sua esegesi biblica ‘esistenzialista’, per la prospettiva di un nuovo concilio ecumenico. Senza dimenticare gli interventi sul condom come ‘male minore’ nel caso di coppie con un coniuge sieropositivo, sulla possibilità di adozione anche per i single e sulla concessione, in alcuni casi, dell’eucarestia ai divorziati risposati.

Oggi Martini, costretto al silenzio dal morbo di Parkinson, continua ad intervenire sull’attualità dalle colonne del Corriere della Sera. Altri vescovi danno voce e portano avanti il suo insegnamento. Tra questi monsignor Giovanni Giudici, 71 anni, braccio destro del cardinale dal 1989 al 2002 in qualità di vicario generale dell’arcidiocesi di Milano. Nominato vescovo di Pavia l’anno successivo, Giudici è sicuramente il più martiniano dei pastori italiani.

Monsignore, come sintetizzerebbe il magistero del cardinale Martini?

<Attenzione al fondamento della fede e rispetto per i doni dello Spirito a ciascun credente, con un’accoglienza ai vari modi attraverso i quali la fede è vissuta nella concretezza dell’esistenza>.

Nel 1980 Martini fece il suo ingresso a Milano, sfilando a piedi per il centro ed entrando in duomo con la Bibbia in mano. Cosa rappresenta per l’arcivescovo la Scrittura?

<È il punto di riferimento della sua vita personale ed ecclesiale. Il cardinale è un esegeta che legge il testo per ciò che significa nell’esistenza di ciascuno di noi e per la conversione richiesta dalla Parola. Alla base di questo suo atteggiamento si coglie la lezione del Vaticano II che, nella costituzione Dei verbum, sottolinea come la Bibbia sia il fondamento dell’esperienza cristiana e della vita di ogni uomo>.

Proprio questo amore per la Scrittura spinse Martini ad introdurre a Milano un elemento di novità: la Scuola della Parola. Come iniziarono le lectio divinae ai giovani?

<Tutto nacque da una semplice domanda fatta all’arcivescovo, allora non ancora cardinale, da alcuni ragazzi dopo i primi mesi di presenza a Milano: ‘Eccellenza, come possiamo pregare?’. Questi giovani avevano intuito il fascino di una lettura ‘esistenziale’ della Bibbia, suggerita da Martini, e cercavano un’applicazione concreta nella loro vita. Da qui prese forma la proposta di una preghiera che facesse riferimento immediato alla Parola di Dio>.

Un’intuizione di successo.

<Le navate del duomo si sono via via riempite fino a quando si è ritenuto conveniente ampliare gli spazi per questo tipo di esperienza. Ed ecco la proposta di attuare gli incontri moltiplicando le sedi in cui ritrovarsi, con altri predicatori. Può venir meno la spinta attrattiva del predicatore, non la sete di lectio divina delle nuove generazioni>.

Centralità della Bibbia, attenzione ai giovani, ma nel servizio pastorale di Martini ha avuto un ruolo decisivo anche il confronto con gli atei. Coglie una continuità tra l’iniziativa della Cattedra dei non credenti, avviata dall’arcivescovo nel 1987, e l’attuale progetto del Cortile dei gentili, promosso dal presidente del pontificio consiglio per la Cultura, cardinale Gianfranco Ravasi?

<Certamente esiste una sintonia. È interessante, però, interpellare l’immagine che si staglia dietro i due progetti>.

Prego…

<Nella Cattedra dei non credenti quanti impostano la loro vita sulla fede stanno di fronte all’ateo in modo da ascoltare i suoi interrogativi e le sue risposte. Così il credente è aiutato a comprendere meglio le domande, che porta dentro di sé e le sue certezze, in un clima di rispetto reciproco e costante interscambio. Nel Cortile dei gentili, invece, l’immagine sembra significare l’avvio di un percorso che lascia ciascuno dei due al suo posto, conducendo il dibattito al cospetto del tempio di Dio>.

Forte dell’esperienza della Cattedra dei non credenti, secondo lei che contributo possono offrire i laici a chi ha fede?

<Tra i non credenti ci sono personalità dotate di una capacità di dedizione e intelligenza del presente tale da diventare richiami e, in qualche misura, maestri anche per noi che abbiamo fede su quel che bisogna fare o omettere per essere abitanti pensosi e costruttivi del presente>.

Con la creazione a Milano del consiglio ecumenico delle Chiese cristiane, la prima istituzione permanente in Italia dedicata al dialogo tra i fedeli di Gesù, Martini diede un forte impulso sul sentiero del ritorno all’unità. Quale è la filosofia alla radice di questo organismo?

<Si vuole dare spazio ad un ecumenismo di base, ovvero incentrato sull’ascolto e l’incontro tra i cristiani. È uno stile concreto che ha la stessa dignità dell’ecumenismo intellettuale di chi studia e confronta diverse sintesi teologiche ed è altrettanto necessario>.

Oggi come oggi il dialogo tra cristiani segna il passo.

<È vero, stiamo pagando lo scotto di quell’ottimismo da cui eravamo partiti dopo il Concilio. Allora sembrava che divisioni plurisecolari potessero archiviarsi in poco tempo e, invece, la storia ha preso tutt’altra piega. Siamo entrati in una fase identitaria, dove ogni confessione rivendica le proprie specificità>.

Come superare lo stallo?

<Abbiamo bisogno di sostenere un ecumenismo pratico, tipo quello vissuto quest’estate a Kingston, dove cattolici, protestanti e ortodossi si sono trovati insieme per sostenere, proprio in quanto cristiani, il cammino verso la pace>.

Ma lei crede ancora nel ritorno all’unità visibile dei cristiani?

<Certo, resta un obiettivo chiave di tutte le chiese. Non possiamo venir meno ai nostri impegni che sono scritti nella parola di Gesù: ' Siano una cosa sola…'>.

Con la liberalizzazione del messale tridentino papa Benedetto XVI sta provando a ricucire lo scisma con i tradizionalisti lefebvriani. Condivide lo spirito del motu proprio Summorum pontificum del 2007?

<La lettera indirizzata dal papa ai vescovi invitava noi pastori ad una maggiore attenzione e accoglienza nei confronti di chi aveva vissuto la stagione della messa in latino. E molti di noi, secondo le circostanze, hanno offerto a quanti lo chiedevano l’opportunità di liturgie secondo il messale di Pio V. Ma il motu proprio ha mutato qualche aspetto di quella richiesta del papa>.

Cosa è successo?

<Ora, in virtù del motu proprio, chiunque può chiedere di celebrare messa nella liturgia di Pio V e il sacerdote singolo è tenuto a rispondere positivamente alla richiesta. Ciò comporta una certa pressione sui preti già gravati da molti impegni; inoltre si offre la possibilità di celebrare la liturgia della Pasqua con il rito di Pio V in parrocchie dove già si celebra il Triduo Pasquale con il messale di Paolo VI>.

È perplesso?

<Mi chiedo solo che vantaggio pastorale e spirituale avremo da uno stile di preghiera, che risente dell’individualismo religioso caratteristico dell’epoca in cui il messale di San Pio V è stato composto, con il celebrante che prega dando le spalle ad un’assemblea facilmente passiva durante la liturgia>.

Eppure tra i fedeli è passata l’idea che quella sia la messa antica.

<Questo messale non ha nulla a che vedere con la preghiera corale e comunitaria dei primi cristiani e delle assemblee liturgiche medievali. Su questo punto bisogna essere chiari>.

Lasciamo la liturgia e torniamo a Martini. Nel privato il cardinale che persona è?

<È un piemontese della media borghesia degli anni ’30: riservato, sensibile, attento alle novità e culturalmente vivace. In lui è forte l’impronta dell’interiorità gesuitica>.

È vero che fino a qualche anno fa seguiva le partite della Juventus?

<Non mi risulta che fosse un grandissimo tifoso. Immagino che quando era giovane abbia tifato per la Vecchia Signora, senza però esserne mai troppo coinvolto. Questo è il suo stile>.

Nel sinodo dei vescovi del 1999, dedicato all’Europa, il cardinale propose l’indizione di un concilio Vaticano III. Anche in quel caso Martini preconizzò i tempi?

<Quello dell’arcivescovo non era un terminus ad quem: Martini non disse che bisognava celebrare un nuovo concilio. Pose semplicemente il problema di come affrontare le sfide della Chiesa in un contesto diverso dagli anni del Vaticano II, con un numero di vescovi ben superiore di quelli che parteciparono all’ultimo Concilio, e con un laicato più frammentato in diverse appartenenze>.

Ma la Chiesa sarebbe pronta per un nuovo concilio?

<Le porte non vanno chiuse. Capisco che ci sono istanze alle quali dobbiamo dare delle risposte, e occorre che siano date assieme, da una comunità di credenti>.

A quali sfide si riferisce?

<Penso all'inculturazione della liturgia, ai riti dei sacramenti, alle fatiche dei cristiani che hanno visto fallire il loro matrimonio, al cambiamento del modo con cui si manifestano le vocazioni. Non va neanche sottovalutata la questione della diaspora di una certa parte del mondo cattolico rispetto alle indicazioni del magistero>.

Proprio il laicato sembra sempre più disinteressato alla vita ecclesiale.

<È necessario che i laici trovino i loro spazi nella Chiesa. Sono e saranno sempre la maggioranza dei credenti. Almeno in Italia, non riusciamo ancora con facilità a far emergere dei luoghi in cui possano esprimersi. Penso anche solo alle difficoltà che si incontrano nel dare attuazione ai consigli pastorali nelle parrocchie>.

Con il Convegno ecclesiale di Loreto (1985) la scelta religiosa promossa da Martini finì in minoranza. Passò la linea di una presenza più massiccia della Chiesa sul proscenio socio-culturale italiano. Fu una mossa azzeccata?

<La strada suggerita dal cardinale Martini, ma anche da parte di Ballestrero e di molti vescovi italiani in quegli anni, privilegiava una formazione della comunità cristiana attraverso un ascolto reale dei laici, perché sono loro a vivere nel tessuto quotidiano la novità del messaggio di Cristo. La linea avviata da Loreto, invece, consegna alla Chiesa, intesa come clero, l’impegno per l’evangelizzazione, e sottolinea, nella vita dei credenti all’interno della comunità civile, uno stile più identitario da parte della comunità ecclesiale. Quasi a dire: noi siamo fatti così, e gli altri si adeguino!>.

Con quali conseguenze?

<In questo modo assistiamo ad un invito ad aderire al popolo di Dio, perché si accetta il modo di vivere dei cristiani, ma non privilegiando il cammino introspettivo che spinge il singolo a credere alla proposta di Gesù come risposta ai suoi interrogativi. In più, come si poteva prevedere, questa presenza identitaria della Chiesa è andata ad irrigidire la divisione tra credenti e non>.

Dall’arcivescovo ‘cattocomunista’ all’intellettuale cresciuto in Comunione e liberazione, da Dionigi Tettamanzi ad Angelo Scola. Sotto la Madunina papa Benedetto XVI ha voluto voltare pagina?

<Non penso che la responsabilità del cardinale Scola porti a Milano un cambiamento sostanziale rispetto alla vita della comunità diocesana. Piuttosto interpreto la sua nomina come un invito ai movimenti, tra questi anche Cl, a non dimenticare la vita della diocesi, a non colonizzare le parrocchie, a non ritenersi gli unici depositari della testimonianza. >.

Tettamanzi e Martini: coscienza critica della società, il primo, della Chiesa, il secondo. Condivide?

<Immagino che il cardinal Martini non condividerebbe questa definizione… Egli non si sente né si è mai sentito coscienza critica. Piuttosto partendo dalla sua distinzione degli uomini tra coloro che pensano e quelli che non pensano, ha sempre cercato di dialogare con chiunque avesse un ragionamento da far valere, al di là delle classiche categorie di credente e non credente, cattolico o non cattolico>.

In più di un’occasione il cardinale è stato tacciato come antipapa per le sue posizioni più aperte rispetto a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI. Deve aver sofferto molto il peso di questa etichetta.

<Senz’altro, si è trattato e si tratta di una polemica strumentale, tesa a indebolire le intuizioni fondamentali di Martini: la centralità della Scrittura per la pastorale, la sua attenzione per la formazione spirituale dei credenti, la considerazione che egli ha, e che raccomanda di avere, per le domande poste alla fede dalla cultura moderna, e la centralità dell’eucarestia, con la quale i cristiani si aprono ad una carità senza limiti>.

Anche lei nel suo ministero ha conosciuto qualche critica. Nel 2007 rilasciò un’intervista alla Provincia pavese, nella quale si dichiarava a favore dei Dico, nell’ottica di definire diritti e doveri per rapporti stabili diversi dal matrimonio. Allora, la presidenza della Conferenza episcopale italiana non la prese subito benissimo…

<Perfino nel Catechismo della Chiesa cattolica si sottolinea l’importanza della stabilità dei sentimenti per la vita buona delle persone. Bisognerà che, prima o poi, come Chiesa e come società, ci poniamo di fronte a quei giovani che, per ragioni a noi anche incomprensibili, che lavorano, vivono insieme con fedeltà reciproca, mettono al mondo dei figli, ma non intendono sposarsi>.

All’inizio dell’anno lei ha incontrato i responsabili dell’Arcigay di Pavia. Cosa l’ha spinta a dialogare con queste persone?

<Sono un pastore e chiunque ha voglia di parlare con me può entrare nel mio studio. Quello, però, è stato un incontro tra persone, come a me tocca fare, non tra istituzioni>.

Omosessuali e genitori di omosessuali: le parrocchie sanno accogliere le differenze?

<Purtroppo nelle comunità parrocchiali non c’è una mentalità condivisa su questo tema. La mia impressione è che viviamo in un clima d’incertezza: come considerare il fatto, come aiutare le persone. Dobbiamo fare ancora dei passi avanti per essere capaci finalmente di accogliere chi vive questa condizione. Ma mi sembra che anche la comunità civile soffre di incertezze e contraddizioni a riguardo di questo tema>

                                                                                                                                                            Giovanni Panettiere

 

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