Pacem in terris

Vice della Liturgia, un posto che scotta

C'E' un posto che scotta in Vaticano e non solo per il caldo di questi giorni. Si tratta dell'ufficio di segretario della Congregazione per il culto divino, dove è appena sbarcato il vescovo inglese Arthur Roche. Il presule eredita l'incarico da monsignor Joseph Augustine Di Noia, americano, che al Catholic News Service, l'agenzia on line della Conferenza episcopale a stelle e strisce, si è detto sbalordito dal fatto di dover lasciare il servizio dopo soli tre anni. Di Noia, promosso a vice di monsignor Gerhard Muller alla Pontificia commisione Ecclesia Dei sul dialogo con i lefebvriani, è il terzo ecclesiastico, nel settenato di Benedetto XVI, a cedere il posto di numero due della Liturgia prima dello scadere del mandato quinquennale. L'ufficio non è di poco conto:  se è il prefetto a dare le direttive per il funzionamento del dicastero, è pur sempre il segretario che tiene le mani sul volante.

PRIMA dello statunitense a fare le valigie anzitempo sono stati i segretari Domenico Sorrentino, spedito nel 2005 a reggere la diocesi di Assisi, sette mesi appena dopo l'inizio dell'era Ratzinger, e il cingalese Malcom Ranjith Patabendige Don, in carica fino al 2009. Sorrentino pagò il prezzo di vedute troppo progressiste rispetto al conservatore, dal piglio deciso, Jorge Arturo Medina Estevez, allora prefetto della Congregazione per il culto divino. Più sorprendente fu 'la promozione' ad arcivescovo di Colombo, in Sri Lanka, di Ranjith che, invece, ha sempre condiviso l'impostazione di Benedetto XVI sulla necessità di arginare le fughe in avanti del post Concilio Vaticano II, in nome di un ritorno al culto del sacro anche nella Cena del Signore.

QUANDO Ratzinger lo richiamò a Roma dalla nunziatura in Indonesia, dove era stato mandato in 'esilio' nel 2004 dopo una parentesi sfortunata come segretario aggiunto in Propaganda Fide - Ranjith non legò con il prefetto del tempo, cardinale Crescenzio Sepe -, la galassia tradizionalista andò in visibilio: il cingalese era l'uomo giusto per mettere in riga i conciliari. Ancor più dal 2008 in avanti, l'anno in cui dalla Spagna fece il suo ingresso, da numero uno della Liturgia, Antonio Cañizares, 'il piccolo Ratzinger'. Per l'ala destra della Chiesa non sarebbe potuto andare meglio.

MA DURO' poco, anzi pochissimo. Il 16 giugno 2009, dopo meno di quattro anni, anche Ranjith lasciò l’incarico di segretario: Benedetto XVI si convinse, nonostante il parere contrario di Cañizares, che la presenza del presule fosse più importante nella sua patria più che in campo liturgico. All'ex vice, comunque, il papa non fece mancare la berretta cardinalizia nel primo concistoro utile, quello di fine 2010. Un fatto piuttosto inusuale, perché nessuno dei due precedenti arcivescovi di Colombo era mai stato elevato a principe della Chiesa.

A ROMA, in veste di segretario della Congregazione per il culto divino, giunse Di Noia, domenicano, già sottosegretario di Doctrina fidei. Fin da subito si capì che la coppia Cañizares-Di Noia non avrebbe avuto il passo giusto per realizzare la riforma della riforma liturgica. Allo statunitense mancava la determinazione di Ranjith, mentre il cardinale spagnolo vagheggiava un suo ritorno in patria, magari come arcivescovo di Madrid. E così sfumò il progetto di costituire, nell'ambito del dicastero per la liturgia, un ufficio che si occupasse dell’architettura e dell’arte liturgica. Non se ne fece nulla per l'opposizione del cardinale Gianfranco Ravasi, teologicamente e liturgicamente meno in sintonia con Ratzinger di Cañizares, che rivendicò al suo Pontificio consiglio della Cultura la competenza sull’argomento.

FACILE intuire, a questo punto, che, o prima o dopo, il papa avrebbe cambiato governance per uscire dal cono d'ombra e ricercare un po' di continuità in un dicastero travagliato come la Congregazione per il culto divino. In più Benedetto XVI, inviando Di Noia a Ecclesia Dei,  ha sicuramente riequilibrato i rapporti nel pontificio consiglio dopo la nomina a presidente di Muller, inseguito dalla fama - solo in parte giustificata - di  progressista.

ARCHIVIATO Di Noia, alla Liturgia è il turno di monsignor Roche, 62 anni, pupillo del cardinale emerito di Westminster, il 'liberal' Cormac Murphy O’Connor, di cui è stato anche ausiliare. Già in passato, con grande preoccupazione negli ambienti più conservatori della Curia romana, il suo nome era circolato per l’incarico ottenuto ora. Ma va anche sottolineato come Roche, in qualità di presidente dell'International Commission on English in the Liturgy, dal 2003 al 2012, abbia difeso in modo fermo la nuova traduzione del messale in inglese, redatta all’insegna di una effettiva maggiore fedeltà all'editio typica latina, alienandosi così la componente più avanzata dell’episcopato britannico.

POCO importa ai lefebvriani italiani per i quali la nomina di Roche, dopo quella <dell'eretico Muller>, è tutt'altro che una buona notizia. Di lui i tradizionalisti contestano l'avversione alla liberalizzazione della messa tridentina, voluta da Ratzinger per venire incontro ai desideri della destra cristiana. <Benedetto XVI ha messo in posti i governo chiave personaggi totalmente avversi alla Tradizione>, è il giudizio sferzante dei lefebvriani di casa nostra.

VEDREMO come andrà a finire. Ad esempio, sarà interessante verificare come Roche si confronterà con l’impegno della Congregazione per il culto divino nel dare la propria recognitio, cioè il via libera dopo una revisione, alla traduzione italiana del Messale che, nella versione approvata dai vescovi della Cei, si discosta dall’originale latino più di quella inglese. Ma, soprattutto, sarà curioso osservare, se dopo i tentativi falliti di Sorrentino, Ranjith e Di Noia, Roche riuscirà a portare a termine il proprio quinquennio di nomina. Nel suo piccolo sarebbe un record.

Giovanni Panettiere

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