Pacem in terris

La verità sul registro delle unioni civili

METTIAMO subito in chiaro le cose. Con il registro comunale delle unioni civili, varato la scorsa notte a Milano, le nozze gay non centrano niente e la famiglia tradizionale è salva. Se ne facciano una ragione chi non va oltre il matrimonio, nonostante la società sia in frenetica evoluzione, e chi si arrovella ancora sulle parole senza accorgersi che la coperta dei diritti è corta. Anzi cortissima, ed è tempo di incassare, non di puntare alla presa di Saturno.

IL REGOLAMENTO, che istituisce il registro (approvato con 29 voti a favore, tra di loro due liberal Pdl, 7 contrari, tutti del centro-destra, e 4 astensioni dai banchi cattolici Pd), è uno dei primi strumenti giuridici in Italia per una piena equiparazione di diritti tra coppie sposate e convivenze (etero o omosessuali). Negli anni scorsi già Torino e Napoli si sono mosse nella stessa direzione, ma, senza far torto a Gianduia e Pulcinella, quanto deciso nella capitale economico-finanziaria del Paese gode di una risonanza maggiore. È come se da Palazzo Marino partisse una spinta centrifuga verso Roma, affinché il Parlamento garantisca un'eguaglianza sostanziale tra chi, per scelta o necessità, non convola a nozze, ma ha comunque deciso di costruire un futuro con un'altra persona, e chi presenta il suo amore a Dio o allo Stato.

PERDEREBBE valore il matrimonio, se il diritto sancisse questa parità? Non penso sia la regolamentazione delle coppie di fatto a sporcare il talamo nunziale. La crisi della famiglia tradizionale ha radici più profonde. A partire dal senso d'insicurezza e scoramento che pervade le nuove generazioni, allenate al consumo e non alla maturazione delle passioni. Giovani non sempre aiutati dai genitori, troppo spesso più interessati al profitto che a dialogare e far crescere i figli. Per certi padri e madri addirittura la famiglia è come un peso da scrollarsi di dosso, con il lavoro ad oltranza e qualche scappatella di tanto in tanto. Quest'ultime ancora tollerate in confessionale. Ovviamente, se a sollazzarsi è il marito.

POSSONO allora figli, che hanno visto naufragare il matrimonio dei padri, accostarsi al sacramento con serenità? Non cercheranno altre strade, magari meno solenni, per coronare il loro progetto di vita a due? Non è forse un modo di responsabilizzare gli affetti disciplinare le coppie di fatto, andando oltre il vuoto normativo? Domande e solo domande, da porre ai vescovi come il cardinale Angelo Scola, in rotta con l'iniziativa del Comune di Milano.

SOTTO LA MADUNINA le unioni civili 'registrate' - per esserlo è obbligatoria la coabitazione dei partner, per fortuna - consentiranno l’accesso ai servizi comunali, finora ad appannaggio delle sole coppie sposate. In attesa dei provvedimenti attuativi dei singoli assessorati, il regolamento definisce le aree tematiche nelle quali saranno tutelate anche le convivenze: casa, sanità e servizi sociali, sport e tempo libero, formazione scuola e servizi educativi, diritti e partecipazione, trasporti. Provando a concretizzare, le unioni potranno beneficiare di contributi per l'affitto dell'alloggio ed entrare in graduatoria per le assegnazioni delle case popolari. Non solo. I partner saranno equiparati l'uno al parente prossimo dell'altro e, in caso di ricovero, riceveranno notizie sulle condizioni di salute del compagno o della compagna. In più, le coppie di fatto potranno accedere ai bandi anti-crisi, con la speranza di ottenere un contributo di solidarietà.  Restano fuori i capitoli dell'eredità e della reversibilità della pensione che rimangono prerogative del matrimonio, garantite dalla legislazione dello Stato.

A REGOLAMENTO approvato, a Giuliano Pisapia va riconosciuto il merito di aver mantenuto una delle promesse chiave della sua campagna elettorale, senza irrigidimenti ideologici, ma con l'obiettivo sacrosanto di portare a casa il risultato. Nel provvedimento licenziato dal Consiglio comunale, su proposta del Pdl, è scomparsa l'espressione 'famiglia anagrafica' (al suo posto la dizione di 'unione civile') per «rimarcare la differenza tra coppie di fatto e famiglia tradizionale». Inoltre, nel definire le unioni civili, il passaggio «insieme di persone legate da vincoli affettivi» è stato sostituito con «due persone legate da vincoli affettivi» per «evitare il rischio di poligamia», paventato nei giorni scorsi dalla Curia. Si è arrivati così a costituire un registro «diverso da quello della famiglia anagrafica>.

QUANTO basta per scongiurare la crisi in seno alla maggioranza, non per convincere i cattolici democratici a dare il disco verde al regolamento. È la dimostrazione, per chi non l'avesse ancora capito, che nel partito di Bersani la sintesi tra laici e credenti è lontana dal realizzarsi, anzi troppo spesso solo gli ordini di scuderia evitano spaccature alla luce del sole. Da apprezzare, invece, lo smarcamento, senza troppi piagnistei, dei due consiglieri Pdl. Come a dimostrare che l'ala liberal sarà pure minoritaria nel partito, ma, almeno nei momenti che contano, inizia a prendersi qualche libera uscita.

A VOLER vederci chiaro, il cardinale Scola, mandato dal papa a Milano per mettere in riga i martiniani, dopo gli scontri roventi dei giorni scorsi, pur se non è riuscito ad arginare il via libera al registro (come avrebbe potuto?), si consola con due vittorie non di poco conto: il mancato allargamento, nel regolamento comunale, del concetto di famiglia e la cancellazione di qualsiasi pertugio normativo per lo sdoganamento della poligamia. Basteranno questi emendamenti andati in porto a placare la risma di polemiche?

Giovanni Panettiere

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