Pacem in terris

Emozioni da un funerale

A STUPIRE non è stata la folta schiera di porporati, vescovi, preti, pastori, rabbini, imam, intellettuali, stretti attorno alla salma. Né la platea eterogenea delle istituzioni e dei politici di turno. Sono altri i segni che, al funerale del cardinale Carlo Maria Martini, hanno suscitato emozione. A cominciare dalla bara in legno chiaro. Semplice, a contatto con la nuda terra, ornata di un sottile nastro rosso, quasi a nascondere la dignità cardinalizia. In cima la pagina aperta della Scrittura.

IN QUEL FERETRO, per l'ultima volta, gli occhi del mondo hanno incrociato la passione e la statura di Martini: il biblista, educato alla scuola della Parola di Dio, che sciolse i tratti aristocratici in un dialogo senza confini. Non più sullo schema classico atei-credenti, ma sull'asse, innovativo ed ecumenico, pensanti-non pensanti.

SU QUEL PONTE ideale lanciato dal cardinale sul mondo ha camminato una moltitudine di non credenti, anche loro tra i ventimila accorsi in duomo o in piazza per l'ultimo saluto all'arcivescovo, sotto una pioggia ad intermittenza. Li abbiamo visti smarriti per la perdita dell'uomo di Chiesa che, all'impaludamento delle sfide del nostro tempo (dalla bioetica alla sessualità), ha preferito il discernimento serrato, in un interscambio culturale votato alla ricerca della migliore convivenza civile possibile. Soprattutto senza la paura di muoversi a tentoni in quelle che il cardinale chiamava 'le zone grigie'.

IN MOLTI atei o agnostici  Martini ha riacceso anche la più flebile fiammella di Cristo, con l'intento di far entrare il dono della fede nel cuore dell'uomo senza che le finestre dell'indifferenza, ben descritte da Sant'Ambrogio ed evocate dal cardinale Angelo Scola nell'omelia funebre, sbarrino il cammino a Dio. Sta poi al singolo, e l'arcivescovo lo sapeva bene, rispondere alla chiamata, in assoluta libertà.

DI CERTO, lunedì pomeriggio in piazza Duomo, l'impressione diffusa è che non fossero solo i fedeli a proclamare il Padre nostro dietro le transenne. Anche altri pensanti sono tornati a recitare la preghiera del Nazareno o comunque si sono chiusi in sé stessi per misurare la purezza di parole ormai dimenticate. Nel frattempo un vento leggero come una carezza, per qualche istante almeno, rubava la scena al tintinnio della pioggia.

SENZA un amico gli atei, senza un padre spirituale i credenti. La voce incerta e sorda di un emozionantissimo cardinale Dionigi Tettamanzi, per tanti l'erede naturale di Martini, ha raccontato il senso di vuoto lasciato dalla scomparsa del gesuita: <Lui è stato per me, come per tantissimi altri, punto di riferimento per interpretare le divine Scritture, leggere il tempo presente e sognare il futuro>. Qualche attimo e l'assemblea dei fedeli, unita ai quattordicimila rimasti fuori dal duomo, si è scossa in un applauso. Scrosciante, liberatorio, uno strappo rispetto all'invito, diffuso prima della messa dai microfoni della chiesa, ad evitare i battimani durante il rito delle esequie.

EPPURE nei volti dei presenti si intuiva che sarebbe andata diversamente. Il vento gelido spirato da Roma sui funerali solleticavano un'inconscia disobbedienza. Anche solo per confermare il calore espresso nei giorni precedenti dalle 200mila persone che hanno voluto rendere omaggio alla salma nella camera ardente. Papa Benedetto XVI deve aver meditato a lungo prima di decidere di non presiedere le esequie e farsi rappresentare non da un esponente della Segreteria di Stato, ma da un cardinale defilato come Angelo Comastri. Troppo sincero il testamento spirituale di Martini (<La Chiesa è indietro di duecento anni>), troppo lampante l'autodeterminazione dell'arcivescovo  nel momento del trapasso per non lasciare il segno e convincere il pontefice a restare a Castel Gandolfo.

È VERO: o il papa va a tutti i funerali dei cardinali o non va a nessuno. Ma in questo caso l'eccezione avrebbe confermato la regola in quanto, nell'opinione pubblica e nell'economia della Chiesa, Martini non rappresentava un porporato come gli altri. Era di più, era l'espressione principale di quella sensibilità ecclesiale in dialogo con la modernità e alternativa al cattolicesimo identitario che ha traghettato Ratzinger sul soglio petrino. Lo sapevano in Santa Sede e hanno consigliato al papa non solo di disertare le esequie - da prefetto dell'Ex  Sant'Uffizio, Ratzinger, invece, salì a Milano per celebrare i funerali di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione -, ma di 'dimenticare' Martini persino nel corso dell'Angelus domenicale.

ANCHE un arcivescovo conservatore come Scola, inviato sotto la Madunnina in segno di discontinuità rispetto alla gestione Martini-Tettamanzi, sa e ritiene - per citare proprio il suo intervento alle esequie - che <le diversità di temperamento e di sensibilità nella Chiesa, come le diverse letture delle urgenze del tempo, esprimono la legge della comunione: la pluriformità dell'unità>. Tuttavia, se qualcosa sta evidenziando la fine di Martini, è proprio l'immagine di una Chiesa divisa in correnti che si ignorano e disprezzano a vicenda. Come se la comunione valesse solo nelle omelie, mentre, in concreto, resta un miraggio prima del naufragio della barca di Pietro.

Giovanni Panettiere

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