Karibu, piccoli masaai crescono
Tarangire, 28 settembre 2012
INDOSSANO una tunica nera a coprire le ginocchia scarne, i capelli rasati uniformano i volti d'avorio. Sulle gote, tinte di bianco, s'indovinano ragnatele e stelle polari, altri tratti rupestri sfuggono alla comprensione. Calzano sandali leggeri, ricavati dai copertoni delle auto, una fitta nube di polvere cadenza i loro passi da gazzella sulla savana, prima grigia, poi dorata, ora rosa. Sono ragazzi tra i quindici e i sedici anni, ma i loro occhi riflettono già la storia e la cultura della più pittoresca tra le centoventi tribù della Tanzania: la comunità nomade dei masaai, nativa dell'Egitto, insediatasi nel Tanganica settentrionale nel lontano XVI secolo.
Incontriamo questi giovani sulla via - una delle poche asfaltate della Tanzania -, che da Arusha conduce al parco Tarangire, il pianeta degli elefanti. Hanno appena subito la circoncisione e per sei mesi vivranno lontano dal villaggio. Come tetto avranno solo una corona di stelle. Ma loro sembrano non curarsene. Qualche anziano della tribù li accompagnerà, con il compito, unico e fondamentale, d'insegnarli le regole e i costumi di una tribù che, nonostante tutto, resiste agli stimoli, sempre più pressanti, della modernità.
Finita la fase dell'apprendimento, potranno mettersi in cammino per far ritorno a casa. Nel frattempo, dietro le quinte, i loro padri sonderanno i villaggi masaai vicini per trovare la moglie ideale per i figli. La prima, molto spesso, di una lunga e feconda serie.
Giovanni Panettiere
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