Pacem in terris

Processo alla laicità

NON POTEVA che suscitare clamore l'omelia di un cardinale che processa la laicità dello Stato. Il porporato in questione è Angelo Scola, da più di un anno a Milano, con la missione di rilanciare la presenza della Chiesa sul proscenio sociale dopo gli anni, troppo pastorali, del duo Martini-Tettamanzi. Così vuole papa Benedetto XVI, così sta facendo l'ex patriarca di Venezia. Ne è prova il suo ultimo Discorso alla città, nella ricorrenza di Sant'Ambrogio, a quasi 1.700 anni dalla promulgazione dell'Editto di Milano (313) degli imperatori Licinio e Costantino.

DAVANTI alle autorità cittadine, compreso il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che l'estate scorsa ha accolto Ratzinger rivendicando <l'autonomia delle scelte politiche di chi governa>, Scola ha messo sul banco degli imputati il modello di laicità in vigore in Occidente e figlio della Rivoluzione francese. Senza giri di parole il cardinale ha preso di petto la laicitè che, <sotto una parvenza di neutralità> delle istituzioni pubbliche, finisce inevitabilmente <per limitare la libertà religiosa>. Di più, lo Stato <fa propria una specifica cultura, quella secolarista che, attraverso la legislazione, diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili,  tendendo ad emarginarle, se non espellendole dall'ambito pubblico>. Un affondo politico, inaudito, quantomeno in una celebrazione eucaristica di rilievo diocesano.

NELLA VALUTAZIONE dei contenuti è difficile scartare la riflessione di Scola sul diffondersi in Occidente di un pensiero laicista. Il fenomeno esiste e viene da lontano. Più dai rampanti anni '80 che dal decennio precedente, ancora imbevuto di una qualche ricerca di assoluto. Caotica, certo, ma presente sia nelle arti che nella filosofia di quegli anni. Se è reale la crescita di lobby volte a confinare la fede in sagrestia, convince poco o nulla la tesi dell'esistenza di un asse tra la cultura secolarista e lo Stato. Non a caso lo stesso arcivescovo adduce un solo risultato di questa intesa per spazzar via la fede: l'arcinota riforma sanitaria di Barack Obama, contrastata duramente dalla Conferenza episcopale americana.

SENZ'ALTRO l'Italia non è paese da cordate laiciste. Anzi, qui da noi le Gerarchie cattoliche godono di una posizione di prestigio. Al punto che non si muove foglia che il Vaticano non voglia su unioni di fatto, fine vita e imposte sul no profit. Intrecci e dietro le quinte che non trovano giustificazione alcuna nel sacrosanto diritto di parola - e denuncia - riconosciuto anche ai vertici ecclesiali. Al contrario pongono più di un interrogativo sulla tenuta della laicità nel nostro Paese. Dubbi che evidentemente non sfiorano il cardinale Scola. Per il porporato, specie ora che si profila una vittoria elettorale della coalizione progressista in Italia, va rivista la laicitè. Il rimpiazzo sarebbe un modello 'positivo' di laicità, con le istituzioni civili aperte al contributo, anche delle religioni, nella realizzazione del bene comune.

IL MITO da rincorrere è quello dell'Editto di Milano. Che non è stato solo un documento storico, ma un passaggio decisivo nell'evoluzione della cattolicità da Chiesa delle origini a Chiesa di Stato. Una svolta non indolore per il papato che patì una marginalizzazione del suo primato spirituale. Tanto che, meglio ricordarlo di questi tempi, non fu papa Silvestro I a convocare il primo concilio ecumenico, quello di Nicea (325), bensì il tanto osannato Costantino. Anche Roma cambiò faccia. Con l'Impero che si aprì a una visione etica della politica.  Altro che laicità, cardinale Scola.

Giovanni Panettiere


 Twitter: panettiereg

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