Una, cento, mille Kyenge in mezzo a noi
NON AMO parlare del colore della pelle. Bianca, gialla, nera, anche senza volerlo finiamo per innalzare muri fra le persone. Quasi a rimuovere l'unità del genere umano in nome di una malintesa differenzazione. Ognuno di noi è unico, diverso, ma non per la sua cera. Lo siamo per le nostre idee, storie, pregi e malcelati difetti. Questo, e non altro, ci rende speciali.
NEL CASO di Cecile Kyenge, però, vale la pena accendere i riflettori sul volto d'ebano di quella che è il neo ministro dell'Integrazione, originaria del Congo, cittadina italiana, anzi modenese. Il motivo è duplice. A cominciare dal fatto che è il primo ministro nero della Repubblica. Avevamo avuto una miss Italia di colore - ricordate nel 1996 Danny Méndez? - ora facciamo un bel salto in avanti, dando piena rappresentanza politica alla nostra società multiculturale. L'Italia cambia e anche le istituzioni evolvono. Ed è senz'altro un bene che a marcare la svolta sia una donna. Deve far riflettere che solo con questo esecutivo siamo riusciti a mettere in campo un numero decente (sette su venti) di ministri in rosa. Ancora pochi, eppure, pensate un po', è record nella storia repubblicana.
MA L'INCARICO alla Kyenge ci offre anche un'altra lezione, ben più significativa. Dietro questo medico oculista si muove un esercito silenzioso di migranti, con in tasca, alle volte, titoli di studio più pesanti dei nostri. Sono avvocati, ingegneri, dottori, giornalisti... Invisibili. Perché, per chi si ferma al colore della pelle, restano e resteranno sempre vu cumpra o prostitute, se neri, spacciatori o badanti, quando vengono dall'Est. Chissà se grazie a questa nomina cadranno i pregiudizi. C'è da augurarselo, consci che ci vorrà tempo, ma che forse le lancette dell'orologio d'ora in avanti procederanno più spedite.
KYENGE ha già detto che il suo primo obiettivo da ministro sarà quello di introdurre in Italia lo ius soli. Ovvero vuole che chi nasce in Italia sia italiano a tutti gli effetti. Sarebbe una rivoluzione auspicabile, renderebe giustizia al legame primordiale che abbiamo con la terra. Prima di esserlo di papà e mamma, siamo suoi figli, non dobbiamo dimenticarlo mai. Solo così riusciremmo a riscoprirci veramente sorelle e fratelli di questo mondo. Vedremo se il ministro riuscirà a portare a casa il risultato. La cartà d'identità non è un lasciapassare, nè garanzia di successo. Come gli altri, né più né meno, Kyenge andrà valutata sulla base dei fatti. E già questa sarebbe una vera novità.
Giovanni Panettiere