Il ritorno dei ‘fratelli’ musulmani
SULLE orme di Wojtyla, in nome della fratellanza fra i figli di Abramo. Era dal 1991 che un papa non firmava di suo pugno il messaggio agli islamici per la fine del Ramadan. Ed era sempre dai tempi di Giovanni Paolo II che un pontefice non si rivolgeva ai musulmani con un affettuoso <fratelli>. Ci voleva Francesco, perché questo accadesse di nuovo. Serviva un pastore come lui, schietto e disinvolto, quando si tratta di eludere il protocollo: dagli ormai celebri <buonasera> e <buon pranzo>, alle messe mattutine a Santa Marta fino alle conferenze stampa a tutto campo, sorvolando l"oceano.
TRADIZIONALMENTE spetta al Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso scrivere il saluto della Chiesa al termine del mese di digiuno islamico. Negli ultimi trent'anni solo Wojtyla è venuto meno a questa prassi. Per l'esattezza, ventidue anni fa. Alto era l'eco della guerra in Medio Oriente e il papa polacco decise di stilare personalmente il messaggio. <Noi cristiani - scriveva - siamo da poco usciti dalla Quaresima, voi uscite ora dal Ramadan: abbiamo questo digiuno di penitenza in comune, è la nostra alternativa religiosa alle attrattive del potere, del denaro e dei piaceri materiali>.
QUEL documento, ispirato alla dichiarazione Nostra aetate (1965) del Vaticano II, vero spartiacque nei rapporti fra Roma e La Mecca, recentemente deve essere tornato alla mente di Bergoglio. Che, più di un ventennio dopo, ha voluto anche lui apportare la sua firma al messaggio per la fine del Ramadan <come espressione di stima e di amicizia>. Nel testo, pubblicato il 2 agosto scorso, il vescovo di Roma si è soffermato sulla promozione <del mutuo rispetto> tra cristiani e islamici, rispolverando anche il perché della scelta del suo nome pontificale, Francesco, ispirata, come ha precisato, a <un santo molto famoso, che ha amato profondamente Dio e ogni essere umano>.
ALL'ANGELUS di domenica Bergoglio è passato dallo scritto all'orale. E, in una piazza San Pietro a corto di fedeli per via delle vacanze estive, il papa ha ricordato <i musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan, dedicato in modo particolare al digiuno, alla preghiera e all'elemosina>. Cinque mesi fa, nel corso dell'incontro con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni (20 marzo), il pontefice era stato più cauto, limitandosi a un colloquiale <amici> in riferimento ai delegati islamici. Ma quello era un appuntamento formale, non la preghiera dell'Angelus, dove Francesco ha potuto usare toni a lui più congegnali e meno felpati. Senz'altro il suo stile punta a creare il miglior clima possibile fra cristiani e musulmani, dopo gli incidenti, occorsi e poi rientrati, sotto Benedetto XVI. L'occhio del papa guarda oltre, ovvero all'impegno corale per <tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto>, come ebbe a dire proprio nell'appuntamento di marzo. Solo così si potrà ostacolare, evocando il filosofo HerbertMarcuse, l'affermazione di una visione della persona <ad una sola dimensione>, secondo la quale <l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma>. E per fare questo Francesco sa bene che occorre l'impegno di tutti, anche dei 'fratelli' musulmani.
FU Giovanni Paolo II, lo stesso che otto anni più tardi chiamerà <fratelli maggiori> gli ebrei, a sottolineare per primo il vincolo di fratellanza che lega i cristiani agli islamici. Il 10 dicembre 1978 il papa disse: «Sappiamo che la madre di Dio è circondata da grande venerazione anche da parte dei nostri fratelli musulmani». Eletto sul soglio di Pietro da soli due mesi, Wojtyla volle inserire quell'appellativo, che riprenderà poi una decina di volte nel corso del suo pontificato, nella cornice di un appello sincero per la pace nel Libano. Immancabili le polemiche successive a quell'esternazione. Per i tradizionalisti si trattò di <un cedimento al relativismo>. Guarda caso la stessa critica mossa, trentacinque anni più tardi, dal redivivo Magdi Cristiano Allam a Bergoglio. Anche lui colpevole di predicare la fratellanza fra i figli di Abramo, islamici inclusi.
Giovanni Panettiere
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