Pacem in terris

I rischi di un papato non di destra

<NON SONO mai stato di destra>. Basterà a papa Francesco questa battuta, raccolta nell'intervista programmatica a Civiltà cattolica, per alienargli le simpatie dell'ala conservatrice della Chiesa? La domanda non è peregrina, se è vero che all'indomani della pubblicazione dell'articolo, dal ridotto de Il Foglio Giuliano Ferrara ha lasciato partire una bordata contro Bergoglio. Dall'inizio del pontificato argentino, è l'accusa dell'Elefantino, <la chiesa cattolica è una sposa infedele. Ecco spiegata la nuova chiesa povera e per i poveri, l’ospedale da campo della misericordia, delle garze e dei buoni sentimenti al posto dell’esercito angelico di Wojtyla e della cattedra razionale di Ratzinger>.

AL NETTO delle nostalgie di Ferrara, che fin da subito ha storto il naso davanti al successore di Benedetto XVI, l'intervista del primo gesuita-papa della storia rischia di rinfocolare soprattutto il nervosismo del potente episcopato statunitense, quello che il 13 marzo scorso sostenne a pieni voti Bergoglio. E che, insieme ai vescovi tedeschi, è un consistente finanziatore del Vaticano. Dopo la nomina del nuovo segretario di Stato, il veneto Pietro Parolin, al posto dell'indigesto Tarcisio Bertone, sembrava essersi acquietata la frenesia del cardinale Timothy Dolan, il numero uno dei pastori a stelle e strisce che, a fine luglio, aveva stigmatizzato la lentezza del pontefice nel mettere mano alla riforma della Curia romana. Ora, però, alla luce del monito di Francesco (<Non possiamo insistere solo sulle questioni legate all'aborto, al matrimonio gay e all'uso dei contraccettivi>), la triade martellante aborto-omosessualità-contraccezione, sulla quale negli ultimi anni ha investito i propri sforzi la Chiesa Usa - e non solo -, viene sonoramente sconfessata. Ai laici, ai preti, ai vescovi Bergoglio propone una svolta radicale: mettere in secondo piano la norma e manifestare la misericordia di Dio nei confronti dell'uomo. Per <curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli - è l'approccio indicato dal papa su Civiltà cattolica - serve la vicinanza, la prossimità, bisogna cominciare dal basso>. Con la consapevolezza che la comunità ecclesiale <a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece che i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia>.

ANCHE Benedetto XVI respingeva una fede fondata sui divieti. Ma il carisma di Francesco sta strutturando la lezione, grazie al ricorso spontaneo a un afflato pastorale, capace di scuotere le coscienze in maniera immediata rispetto all'inevitabile astrazione del dettato teologico. Chi non si aspettava questo cambio di stile e priorità, convinto che, dopo le epocali, coraggiose e commoventi dimissioni di Ratzinger, alla Chiesa bastasse snellire i dicasteri vaticani e cacciare vittime e gole profonde dello scandalo Vatileaks, oggi resta interdetto. Ne sa qualcosa Dolan, che ha volutamente glissato sui nodi più spinosi dell'intervista di Bergoglio (<Conferma quel che era già emerso nei primi sei mesi di pontificato: che è un uomo che crede fortemente nella misericordia>) a dispetto del filosofo teocon Michael Novak. Tra le voci più ascoltate dall'episcopato Usa, il professore ha scelto di sfoderare la sciabola per prendere le distanze dal pontefice: <Il papa non si rende conto dei danni che sta facendo alla Chiesa>. Va detto che, al momento, Novak è l'unico ad alzare i toni nella comunità cattolica statunitense, in prevalenza d'impronta conservatrice e votata a un certo capitalismo dal volto compassionevole. Ora come ora prevale un silenzio imbarazzato, segno che, come spiega il vaticanista dell'autorevole National catholic reporter, John Allen, <la maggior parte dei conservatori prende seriamente l'autorità papale e quindi farà uno sforzo> per dare la sua spinta alle parole di Bergoglio, <senza critiche aperte>. Fino a quando, però?

CHI non resta in silenzio è il fronte progressista della Chiesa universale. Archiviati i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, bollati come restauratrici, i conciliari, compreso un movimento da sempre critico come Noi Siamo Chiesa, sperano e sentono di nuovo soffiare lo spirito del Vaticano II. Merito dei gesti inediti di Francesco, in primis la scelta di vivere a Santa Marta e il suo definirsi vescovo di Roma, non certo della dottrina. Che, salvo qualche spiraglio a parole, resta quella del suo predecessore. L'argentino, affine a Giovanni XXIII per semplicità e disponibilità all'aggiornamento, con discernimento prepara il terreno per le riforme. Ed è proprio su questo punto che si consuma il rischio, a sinistra, di un papato non di destra: l'illusione, cioè, di trovarsi di fronte a un pastore smanioso di rivoltare come un calzino il diritto canonico e innovare la morale. Il santo padre rivedrà la disciplina dei divorziati risposati, garantirà maggior collegialità nella Chiesa, darà spazio alle donne nel governo, forse imporrà loro persino la berretta cardinalizia e, chissà, avvierà una discussione sul celibato obbligatorio.

MA sinceramente, non sono queste le sue priorità. Lo ha fatto intendere nell'intervista a Civiltà cattolica. Francesco punta a una riforma più grande: fare del popolo di Dio un buon samaritano, chino sulle ferite sociali dell'uomo contemporaneo. Quella che ha in mente è una Chiesa coinvolta, partecipe, prossima. Impresa non facile per il papa, costretto a fare i conti con un episcopato troppo spesso altezzoso, educato al culto della sacralità e della gerarchia, arroccato sulla difensiva, tanto da apparire, specie in Italia, frastornato dal ciclone Bergoglio, e con un laicato cattolico a parole e sempre meno nei fatti, clericale più dei preti. Se andrà in porto, quella di Francesco sarà la Riforma. La svolta di una papa, allora sì, autenticamente progressista.

Giovanni Panettiere

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