Pacem in terris

Vescovi e linee guida contro la pedofilia nella Chiesa. La novità passa dalla morale

Il Consiglio permanente della Cei

NELL'ORDINAMENTO italiano il vescovo <non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, né di incaricato di pubblico servizio, non ha l'obbligo giuridico di denunciare> alla magistratura i casi di pedofilia. Resta <il dovere morale di contribuire al bene comune>. Ruota attorno a questo imperativo di coscienza lo spartiacque fra le vecchie e le nuove linee guida per il contrasto agli abusi sessuali sui minori nella Chiesa, presentate dalla Conferenza episcopale italiana a margine dell'ultimo consiglio permanente.

CHI SI ASPETTAVA la previsione di un obbligo giuridico di denuncia in capo ai vescovi è rimasto deluso. A conti fatti, non poteva essere altrimenti per almeno due ragioni squisitamente tecniche. Un'attinente alla laicità dello Stato, l'altra alla natura del provvedimento varato dalla Cei. Il legislatore del diritto italiano, almeno Costituzione alla mano, coincide con il Parlamento, non con un manipolo, più o meno ristretto, di vescovi o cardinali. Ne consegue che, se a norma di legge un vescovo, al pari di un padre di famiglia, oggi non è obbligato a segnalare alle autorità competenti una notizia di reato perseguibile d'ufficio, vedesi la violenza sessuale su minore - la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio ha confini ben precisi (Codice penale articoli 357 e 358) -, la colpa non può essere certamente della conferenza episcopale. Quest'ultima è chiamata ad adattarsi alle regole vigenti dello Stato, impegnandosi semmai a mettere mano al proprio ordinamento.

E QUI entra in gioco il diritto canonico, di per sè integrato in quello civile. Il focus sulla normativa ecclesiale diventa decisivo per comprendere come le Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici - questa la dizione esatta del documento Cei - non abbiano carattere giuridicamente vincolante. Ne è prova il fatto che non si sia resa necessaria alcuna recognitio (disco verde) da parte della Santa Sede, un passaggio, quest'ultimo, fondamentale ogni qualvolta un episcopato nazionale intenda dotarsi di una legge locale. Così  fecero, per esempio, nel 1992 i vescovi statunitensi che, travolti dallo scandalo pedofilia nell'arcidiocesi di Boston - quello che costrinse alle dimissioni l'allora arcivescovo Bernard Francis Law -, approvarono le Essential norms.

LA CONFERENZA episcopale italiana si è mossa diversamente e, in ottemperanza alla lettera circolare (2011) della Congregazione per la dottrina della fede, che invitava gli episcopati a predisporre delle proprie linee guida per far fronte alla piaga della pedofilia, ha licenziato le sue. Non si tratta, quindi, di un testo-fonte del diritto, ma di mere raccomandazioni che di per sè non possono introdurre un nuovo obbligo canonico. Va detto che la stessa circolare dell'ex Sant'Uffizio, questa sì di carattere universale e normativo, non impone esplicitamente di denunciare gli abusi. Conscia dei differenti rapporti, da Paese a Paese, fra le autorità civili e la Chiesa, la lettera ordina ai vescovi di <dare sempre seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte>.

LA NOVITA' del provvedimento della Cei sta allora - e non è affatto poco - in quel dovere morale di coontribuire al bene comune, assente nella prima versione delle linee guida, bocciata a maggio dell'anno scorso dall'ex Sant'Uffizio.  <E' necessaria una coerenza sui ruoli - ha spiegato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, durante la conferenza stampa a conclusione del consiglio permanente -. Il vescovo ha il dovere morale di favorire la giustizia che persegue i reati: non è il difensore d'ufficio del sacerdote eventualmente accusato. E' un padre per tutti, soprattutto è padre di chi ha subito gli abusi. E deve agire di conseguenza, cioè prendere decisioni concrete>. Dell'imperativo di coscienza ha parlato anche il cardinale Angelo Bagnasco (<Per noi l’obbligo morale è ben più forte dell’obbligo giuridico e impegna la Chiesa a fare tutto il possibile per le vittime>). Proprio il presidente della Cei non aprirà la prossima assemblea generale a maggio: sarà, infatti, papa Francesco a tenere la prolusione iniziale. Circostanza che rappresenta un unicum nella storia della Conferenza episcopale italiana. E che potrebbe preludere a cambi repentini al vertice da parte dello stesso pontefice.

Giovanni Panettiere

 Twitter: panettiereg

 https://www.facebook.com/paceminterris.it?fref=ts

comments powered by Disqus