Pacem in terris

Il Papa tira un sospiro di sollievo: i vescovi italiani voteranno il loro presidente. O quasi…

 

I vescovi italiani riuniti in assemblea

CERTO, non era proprio quello che chiedeva Francesco, ma, date le premesse della vigilia, il Papa può ritenersi più che soddisfatto. L’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana mercoledì sera, dopo un confronto interno serrato, durato due giorni, ha approvato una riforma dello statuto che prevede, per la prima volta nella storia del nostro episcopato, il coinvolgimento diretto dei vescovi nella designazione del loro presidente. Quest’ultima resterà una prerogativa del Pontefice, che è primate d’Italia, ma avverrà sulla base — ed è qui la novità procedurale — di una terna di candidati. frutto di un voto interno all’assemblea.  In sostanza, si tratta di un sistema simile a quello in vigore per le provviste (scelte) dei vescovi nelle singole diocesi. Ciascuno dei nomi indicati dovrà ottenere il consenso del 50% più uno degli aventi diritto.

NEI MESI scorsi Bergoglio aveva spronato i vertici della Cei a considerare l’ipotesi di far eleggere il presidente dalla base episcopale, così come accade negli altri Paesi, eccezion fatta per il Belgio e le Chiese latine negli Stati arabi. Fra la fine dello scorso anno e i primi mesi del 2014 la Segreteria generale dei vescovi ha promosso una consultazione in seno alle 16 conferenze regionali al fine di tastare il polso dei pastori. Scartata l’ipotesi di un’elezione diretta del numero uno, a gennaio il Consiglio permanente della Cei ha lanciato la proposta di sottoporre al Papa una rosa di una quindicina di candidati, indicati dall’assemblea. La soluzione ha suscitato non poche perplessità, tanto da essere accantonata nell’ultima riunione dello stesso parlamentino dei vescovi, tenutasi a marzo.

IN UN CLIMA di forte incertezza si è aperta così la 66esima assemblea generale dell’episcopato, con l’inedita relazione introduttiva del Papa. Prendendo la parola davanti ai vescovi, Bergoglio li ha sferzati sulla necessità di abbandonare «una pastorale di conservazione>. E in qualche modo le sue parole hanno fatto presa sui suoi confratelli visto che, a sorpresa, l’assemblea ha approvato la riforma dello statuto. Non solo vi erano dubbi sul fatto che il disco verde potesse arrivare già a maggio, soprattutto alla vigilia in pochi avrebbero scommesso sulla terna, data anche la maggioranza qualificata necessaria per mettere mano alle norme statutarie.

LA STRADA era in salita e si è visto. Prima della fumata bianca (lo scrutinio finale ha registrato, su 252 votanti, 156  consensi per la terna, una trentina a sostegno dell'elezione diretta del presidente) sono state necessarie diverse votazioni intermedie. Fra queste anche una che ha avuto come maggioritaria l'ipotesi di scegliere direttamente il vertice dell'episcopato: 104 sì e 103 no.  Troppo poco per superare l'asticella della maggioranza qualificata, abbastanza per far sbottare il presidente dei vescovi greci, Francesco Papamanolis, uditore in assemblea, uscito anzitempo dall'Aula Paolo VI: <Il Papa ha detto ai vescovi italiani 'fate voi, organizzatevi voi, che sapete meglio di me come stanno tante cose'. E loro che cosa fanno? Restano fermi. Questo è un peccato, perché le strutture si possono cambiare, non sono materia di fede. Si vede che il Cupolone è troppo vicino...>.

CHI PROBABILMENTE  sapeva che era solo questione di tempo era monsignor Francesco Montenegro. Fra una pausa e l'altra dei lavori, il vescovo di Agrigento, che è anche ministro dell'Immigrazione della Cei, aveva confidato: <Se ci sono state delle Chiese, che hanno allentato un po' lo slancio, con l'intervento di Francesco hanno trovato nuovi stimoli per rilanciare la loro azione>. Quaranta minuti in più di confronto, rispetto alla tabella di marcia prefissata, e la terna era cosa fatta. <Il dibattito è stato vivace, un po’ come Paolo e Pietro che inizialmente erano divisi sulla circoncisione dei gentili. Ma alla fine siamo riusciti a cambiare e ad avere la terna», è stato il commento a caldo  di monsignor Giancarlo Bregantini, ministro del Welfare della conferenza episcopale e arcivescovo di Campobasso, una volta messa la testa fuori dall’Aula Paolo VI.

INCASSATA l'approvazione in assemblea, il nuovo statuto, prima di diventare operativo, dovrà ottenere il placet della Santa sede (la cosidetta recognitio). Inoltre, nella prossima assemblea straordinaria, in programma a novembre, i vescovi decideranno se modificare o meno il regolamento Cei, inserendo una norma sulla comunicazione al Santo padre dell'ordine di preferenza e della consistenza dei voti ottenuti dai tre candidati. Solo esauriti questi passaggi sarà possibile aprire le sacre 'urne'. In attesa di vedere l'evolversi degli eventi, è lecito supporre che l'assemblea generale di maggio 2015 possa chiudersi con un nuovo presidente. Se non eletto direttamente, quantomeno 'suggerito' dai vescovi.

Giovanni Panettiere

Twitter: panettiereg

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