Pacem in terris

Quando i vescovi non scomunicavano (esplicitamente) i mafiosi

Il Papa scherza con i bambini della diocesi di Cassano

PIÙ SEVERO di Wojtyla, meno tenero di Bergoglio. Papa Francesco ha superato se stesso e, accantonando per un attimo la proverbiale misericordia, nella Piana assolata di Sibari, nella terra che inghiottì il sangue del piccolo Cocò Campolongo, ucciso e dato alle fiamme dalle cosche, ha sgombrato il campo da qualsiasi connivenza fra Chiesa e ‘ndrangheta. «Adorate il male, siete scomunicati», si è scagliato contro i mafiosi davanti a 250mila calabresi, accorsi da tutta la regione per ascoltare il Vangelo del riscatto.

VENTUNO anni fa Giovanni Paolo II scosse la Valle dei templi, col quel perentorio «convertitevi, verrà il giudizio di Dio», diretto agli ‘uomini d’onore’; a marzo proprio Bergoglio aveva implorato i boss a cambiare vita, «per favore, ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene». Eppure mai nella storia si era visto un pontefice comminare agli affiliati di Cosa nostra — non solo ai sicari — la pena massima prevista dal diritto penale canonico: la scomunica. Un vero e proprio colpo basso per quei mafiosi che alla luce del sole organizzano e partecipano alle processioni e di notte appiccano il fuoco ai negozi dei commercianti che resistono al pizzo. Ma allo stesso tempo l'affondo del papa suona come un monito per quei preti che, pur sapendo chi hanno di fronte, chinano il capo anche e solo per paura.

PER LA VERITA' nel corso degli anni non sono mancati gli uomini di Chiesa in prima linea contro le cosche, per lo più in Sicilia. Qualcuno, come il beato Pino Puglisi, ci ha rimesso la pelle, altri, i vescovi Montenegro (Agrigento) e Raspanti (Acireale), hanno trovato il coraggio di negare i funerali ai boss impenitenti. Idem a Napoli, dove  il cardinale Sepe sta portando avanti una forte azione di sensibilizzazione dei giovani in risposta alla camorra. Va peggio in Calabria. Qui, al netto dell’impegno anti 'ndrangheta profuso da Galantino (Cassano) e a Locri prima da Bregantini e poi da Morosini, qualche mese fa ha destato un certo scalpore la decisione del vescovo di Mileto Renzo di  annullare una processione dopo che il rito era stata commissariato dalle autorità civili per il timore di infiltrazioni mafiose. Eppure qualcosa si muove anche nello stivale del Paese, se è vero che ad aprile la Conferenza episcopale calabrese ha pubblicato un documento inequivocabile in cui si ricorda ai fedeli un duplice ineludibile dovere: quello del <coraggio della denuncia> degli affari sporchi della 'ndrangheta e quello della <fuga da ogni omertà>.

CHISSA', forse non è un caso che Francesco abbia scelto proprio la Piana di Sibari per chiedere alla Chiesa «di spendersi di più» nella lotta alla criminalità organizzata. Dopo le sue parole non potranno più esserci equivoci, né zone d'ombra. Neanche sulla scomunica ai boss. E pensare che appena cinque anni fa l'allora segretario generale della Conferenza episcopale italiana, Mariano Crociata, presentando un documento pastorale sul Mezzogiorno, disse: <Nei confronti dei mafiosi e degli appartenenti alla criminalità organizzata  non c'è bisogno di comminare esplicite scomuniche. Chi vive in queste realta e fa parte di 'queste organizzazioni già automaticamente è fuori dalla comunione e dalla Chiesa, anche se si ammanta di religiosità senza bisogno di ulteriori pronunciamenti>. Altri tempi, ma una sola Chiesa che cambia passo, nonostante tutto e tutti.

Giovanni Panettiere

Twitter: panettiereg

https://www.facebook.com/paceminterris.it?fref=ts

 

comments powered by Disqus