Pacem in terris

Imola, l’ultimatum del vescovo ai musulmani e l’eredità del cardinale Biffi

Il vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli

GLI ISLAMICI di Imola prendano pubblicamente posizione contro le persecuzioni e le violenze sui cristiani, «altrimenti dovrebbero avere il coraggio di allontanarsi dalle nostre terre, perché nessuno vuole avere nemici in casa». Sabato, nelle stesse ore in cui il Papa invitava l’episcopato camerunése «a sviluppare il dialogo di vita con i musulmani, in uno spirito di fiducia reciproca», le agenzie di stampa battevano la notizia dell’ultimatum del vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli, agli islamici della cittadina emiliana. In una lettera pubblicata sul settimanale diocesano, Il Nuovo Diario Messaggero, il presule ha ricordato i cristiani perseguitati e le azioni di crudeltà perpetrate dal Califfato, in Siria come in Iraq, prima di rivolgersi agli italiani, affinché «smettiamo di prendercela in blocco con gli stranieri». «Chiediamo piuttosto agli islamici presenti tra noi — è stato l'affondo di Ghirelli — di dimostrarsi uomini d’onore, di prendere posizione pubblicamente contro le persecuzioni e gli atti di crudeltà. Sappiamo che sono intimoriti dagli integralisti, ma è arrivato il momento di rompere il circolo vizioso dei soprusi, superando sia il buonismo sia l’intolleranza». In caso contrario, ha concluso, i musulmani dovrebbero «allontanarsi dalle nostre terre». Per il momento la comunità islamica locale si è limitata a incassare il colpo, almeno fino alla ricorrenza della strage delle Torri gemelle (11 settembre), quando potrebbe maturare una risposta, si spera ragionevole, alle parole del vescovo. Intanto, si registra la condanna ferma dell'Isis da parte del gran muftì del Cairo, Shawki Ibrahim Abdel-Karim Allam, una delle autorità chiave della galassia sunnita. A Bologna, invece, qualche settimana fa su Facebook si è levata la voce di Yassine Lafram, il giovane coordinatore degli islamici felsinei: «Da musulmano condanno e mi dissocio dagli orrori dell'Isis, da musulmano condanno le barbarie commesse dall'esercito israeliano nella striscia di Gaza, da musulmano condanno la cacciata dei cristiani arabi e altre minoranze dall'Iraq, da musulmano condanno tutte le ingiustizie nel mondo». 

PRIMA del vescovo di Imola autorevoli esponenti della Chiesa, di fronte ai ripetuti massacri dei jihadisti, avevano sollecitato il mondo islamico a prendere le distanze. Da ultimo, il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Di per sé la richiesta non è solo legittima, ma del tutto comprensibile dopo che l’orrore integralista ha bucato ancora di più i video delle nostre case con le immagini raccapriccianti delle decapitazioni dei due reporter americani. Semmai quel che lascia perplessi è l’afflato schietto e perentorio di Ghirelli, che, abbandonata qualsiasi prudenza diplomatica, ha rispolverato la logica dell’amico-nemico, finendo per incanalare la violenza estremista del Califfato in un conflitto perenne fra islam e cristianesimo. Ma in questo modo, anche senza volerlo, si fa il gioco degli assassini dell'Isis, che restano i principali sostenitori di una guerra di religione in atto, nonostante in Medioriente massacrino sia gli infedeli che gli sciiti e i sunniti moderati, a riprova del fatto che innanzitutto si sta consumando, interessi o meno a noi occidentali, un conflitto sanguinario interno alla famiglia musulmana.

LE AFFERMAZIONI di Ghirelli rischiano così di suonare come una provocazione. Un'altra dopo quella di Ferrara alla vigilia della festa dell’Assunzione di Maria: in quel caso l’arcivescovo Luigi Negri, lo stesso che non ha mai abiurato le crociate, con piglio muscolare espose sulla facciata del palazzo vescovile la ‘n’ di nazareno, simbolo dei cristiani perseguitati dai musulmani jihadisti. Ma passiamo oltre... Poniamo una domanda di fondo: si tratta di casi isolati? Imola e Ferrara non fanno testo? A scorrere i cardini del magistero sull’islam dei vescovi emiliano-romagnoli negli ultimi quattordici anni sembrerebbe vero il contrario. Fatta salva la solidarietà da garantire a ogni uomo, sospetti, diffidenze e la denuncia esplicita del rischio di un’invasione islamica si sono affastellati in più di un intervento di singoli monsignori o dell’intero episcopato. Quasi che, naufragata 'la nave pirata' del comunismo, all’orizzonte si sia cercata ben presto una nuova minaccia, neanche troppo difficile da scorgere dati i secoli di odio fra cristiani e musulmani.

ANDIAMO con ordine. La svolta si ebbe nel 2000 con la nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio, firmata dal cardinale Giacomo Biffi. In quel documento l’allora arcivescovo di Bologna, trattando del fenomeno migratorio, ricordò la natura di «religione nazionale storica del cattolicesimo» e mise in guardia lo Stato sui criteri di ammissione dei migranti. Questi parametri, scriveva, «non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione». Da qui l’appello alle istituzioni a trattare «con una particolare attenzione» il caso dei musulmani che, al netto di una diversa alimentazione e di «un diritto di famiglia incompatibile col nostro», cullano «una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile», anche se «di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti».

LA TESI di Biffi fece scuola al punto che, qualche mese più tardi, la Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna approvò una nota implacabile, ancora oggi in vigore, sul rapporto fra islam e cristianesimo. Quaranta pagine su un faccia a faccia da non limitare a un mero approccio culturale, ma da costruire alla luce delle testimonianze dirette di chi dei musulmani ha visto «la durezza nell’esigere che ci si adegui alle loro norme di vita, la loro sostanziale intolleranza religiosa quale è ampiamente documentabile per molti paesi, le loro intenzioni di conquista». Il manuale venne distribuito capillarmente nelle parrocchie e, ancora oggi a distanza di tempo, resta l’esempio più evidente di una preoccupazione costante da parte dell’episcopato regionale per l’impatto della cultura islamica su un’Italia sempre più secolarizzata e dimentica della propria identità cristiana. Timori che allora spinsero i vescovi a riconoscere come in «molti si chiedano se l’Islam, soprattutto attraverso l’immigrazione e una natalità superiore alla media, non stia invadendo a poco a poco l’Europa per trasformarla in ‘Terra d’Islam’».

E ARRIVIAMO all'11 settembre 2001. Dopo l’attacco alle Torre gemelli non mancarono uscite (in solitaria), se possibile, ancora più vementi. Paradigmatica quella dell’allora vescovo ausiliare di Bologna, Claudio Stagni, che l'anno seguente, durante una messa in suffragio dei vigili del fuoco, propose d’introdurre nel calendario liturgico una giornata di preghiera alla Madonna, perché «protegga i nostri paesi dal diffondersi della religione islamica». Non pago nel 2005 lo stesso presule, divenuto nel frattempo ordinario di Faenza, per rimarcare ulteriormente i suoi ‘dubbi’ sui fedeli di Maometto, polemizzò così con i cattolici progressisti di Noi Siamo Chiesa: «Diciamo che a sentire loro la Chiesa cattolica può dare forfait, affittare il Vaticano ai musulmani e andare a vendere frigoriferi in Alaska» (Corriere di Romagna, 18 settembre 2005).

COME è evidente, i precedenti non mancano. Sono lì a dimostrare l’humus dal quale sono scaturite le affermazioni di monsignor Ghirelli, il gesto dell'arcivescovo Negri e prima ancora le parole del vescovo Stagni. Nulla nasce dal caso, anche nella Chiesa dell'Emilia Romagna. L'ultimatum ai musulmani era nell'aria, da tempo. Serviva solo un briciolo di scaltrezza.

Giovanni Panettiere

Twitter: panettiereg

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