Pacem in terris

I preti di Bologna e il dopo Caffarra: ‘Bisogna riscrivere l’alfabeto della fede’

IL DOPO CAFFARRA TRA AUSPICI E RIFLESSIONI: <BISOGNA RISCRIVERE L'ALFABETO DELLA FEDE>
Articolo pubblicato su il Resto del Carlino, cronaca di Bologna, edizione del 2 aprile 2015
di GIOVANNI PANETTIERE
IL PASSAGGIO di consegne sulla cattedra di San Petronio interpella i preti dell’arcidiocesi. Chi esterna il suo punto di vista sul profilo del successore del cardinale Carlo Caffarra, atteso a giugno sotto le Due Torri, il più delle volte sfuma i contorni. Vola alto, anche se nel clero si percepisce l’auspicio per un vescovo della gioia e della misericordia, a stretto contatto con le persone, in primis i più giovani, per un pastore capace di farsi comprendere, timoniere di una Chiesa votata all’accoglienza.
A PARLARE sono sacerdoti con storie e sensibilità differenti che, tutti i giorni, solcano le stesse strade di un’umanità non per forza cristiana e, ogni domenica, a messa, incrociano lo sguardo di una parte sempre più esigua (10-15%) del popolo di Dio. Ne sa qualcosa don Alessandro Benassi, 48 anni, cancelliere di Curia che, in veste di parroco di Santa Maria e San Domenico della Mascarella, sottolinea l’urgenza di un cambio di vocabolario sul modello Bergoglio: «C’è bisogno di riscrivere un alfabeto della fede per riuscire a comunicare con chi non sa più comprendere il nostro linguaggio, senza aver paura di usare immagini inusuali come ‘l’odore delle pecore’ o il ‘pugno sul naso’». Da qui si potrà partire per entrare in contatto con i ragazzi universitari fuori sede, «non solo in termini di dibattito culturale», ma di una vera e propria «paternità spirituale». Le sortite del Pontefice riecheggiano anche nell’analisi di don Maurizio Mattarelli, classe 1956. Subentrato al novatores don Nildo Pirani nella periferica chiesa di San Bartolomeo della Beverara, il parroco-poeta suggerisce tre caratteristiche per il nuovo inquilino di Via Altabella: un vescovo «al servizio della gioia», che sappia «mettere in circolo» i grandi doni della nostra Chiesa locale e che «stia davanti, in mezzo e alle volte dietro il gregge che possiede un suo olfatto per individuare nuove strade».
NELLA SCELTA del prossimo arcivescovo papa Bergoglio dovrà considerare anche le peculiarità di una città come Bologna. Ieri laboratorio di ‘un comunismo con la pancia piena’, oggi avamposto dei registri dei matrimoni omosessuali, patria di ricorsi al Tar contro le benedizioni pasquali nelle scuole, set fotografico per scatti blasfemi. Non è che innovando la Chiesa finisca per lasciare campo aperto al laicismo? Non si corre il rischio di archiviare un magistero pugnace come quello del teologo Caffarra che dell’emergenza educativa, «della rigenerazione dell’uomo in Cristo», in un contesto sociale segnato dal pericolo di «insignificanza del cristianesimo e dei cristiani», ha fatto il suo tratto distintivo? Sul punto si confrontano due anime del clero bolognese. Da un lato chi avverte «che non si può e non si deve smarrire l’eredità di un episcopato lungo undici anni», parola del cinquantatreenne don Tiziano Trenti della centralissima Santa Maria della Pietà, in via San Vitale; dall’altro una fetta consistente di preti più sensibile al cambiamento. «Bologna da molti anni è governata attraverso un pensiero teologico che si sperava avesse una ricaduta pastorale – argomenta don Matteo Prodi, 49 anni, nipote del ‘cattolico adulto’ Romano –. L’impressione è che la gente si sia allontanata, perché non si è sentita curata».
LA MAGGIORANZA del presbiterio guarda altrove. I più oscillano fra riforma e conservazione. Bene un approccio pastorale, ma senza cedere sui principi, come nella polemica infinita con ‘i mangiapreti’ dell’Arcigay Cassero. «La Chiesa di Bologna – sostiene l’ingegnere don Raffaele Buono, cinquantenne direttore dell’ufficio diocesano per l’insegnamento della religione cattolica – ha pieno diritto di protestare anche con veemenza contro le offese gratuite alla sensibilità religiosa di molti cittadini». Si insegna nei seminari che Ecclesia non facit saltus (‘La Chiesa non procede per strappi’). La lezione si tramanda da secoli. E a Bologna nel post Concilio ha messo radici profonde.
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