Separazioni, castità e gay: per Francesco rivoluzione a metà
«CI SONO casi in cui la separazione è inevitabile», anzi «a volte può diventare perfino moralmente necessaria». Come quando «si tratta di sottrarre il coniuge più debole o i figli piccoli alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza». Non era difficile immaginare che queste parole del Papa, pronunciate in occasione di una delle sue ultime catechesi sulla famiglia, suscitassero un certo clamore. Francesco legittima la separazione? Scardina la dottrina? Né l’una, né l’altra. Semmai il suo intervento è la prova provata di un modo particolare d’interpretare il ministero petrino: nessuno strappo al Magistero – in questo caso al principio dell’indissolubilità del matrimonio –, ma la valorizzazione di nozioni e istituti della disciplina ecclesiale poco conosciuti.
LA SEPARAZIONE, per esempio. Anche se non molti lo sanno, il Codice di diritto canonico (cann. 1151-1155) ammette la separazione, con permanenza del vincolo sacramentale, per tradimento o qualora uno dei coniugi comprometta «gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole oppure renda altrimenti troppo dura la vita comune». Quest'ultima è l'ipotesi ripresa dal Papa nella sua catechesi. In un’altra circostanza, a Torino, Francesco, parlando ai giovani dell’amore che «è molto rispettoso delle persone, non le usa», li ha invitati a essere ‘casti’. Come prevedibile, parte dei mezzi di comunicazione italiani ha interpretato l'appello nell’accezione più semplice e comune del termine, l’astensione dai rapporti sessuali, consegnando alle cronache un Pontefice dalla spiccata impronta sociale, ma bacchettone sulla morale sessuale. Quello che Bergoglio non voleva che accadesse. «Mi permetto di parlarvi con sincerità, non per fare il moralista», si era affrettato a dire ai ragazzi prima di avanzare la sua raccomandazione.
IN VERITÀ, Francesco, preoccupato più che altro per l'affermarsi di una società sempre più edonista, si è concentrato sull'amore, non sulla sessualità. Due concetti in correlazione, certo, ma non per questo sovrapponibili. Senza negare il principio dell'intimità ammessa solo nel matrimonio - semplicemente non ne ha parlato -, nel suo intervento il Papa è volato più in alto di certi titoli. Ha riportato a galla il significato autentico di una parola, 'casto', banalizzata nell'uso comune e ‘addomesticata’ nei sacri palazzi. L’etimologia di 'casto' (castus) indica che è tale chi sfugge l’incesto (in-castus). Chi in amore rispetta l’alterità dell’altro, apprezza la sua unicità, non vuole possederlo. Usarlo, strumentalizzarlo. Ben altra cosa dall’astinenza o dalla continenza sessuale.
CHE FRANCESCO amasse stupire lo si era già capito dal famoso «chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio». Niente di nuovo, è tutto nel Catechismo che rimarca «il rispetto», «la compassione» e «il superamento di ogni marchio d'ingiusta discriminazione» nei confronti degli omosessuali (num. 2358). Solo che non raramente i cardinali e gli arcivescovi, ogniqualvolta discettano di omosessualità, si dilungano in sermoni su devianza e contro natura, perdendo di vista che l'omosessualità abita l'iperuranio delle idee, mentre i gay e le lesbiche hanno piedi ben saldi a terra. Ci voleva Francesco per recuperare il rimosso... E se non è una rivoluzione poco ci manca.
Giovanni Panettiere
Twitter: panettiereg25
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