Pacem in terris

Family Day, il Papa e la prudenza dei vescovi

 

CHE COSA sarebbe successo se fosse stato papa Benedetto XVI e non Francesco a ricordare, davanti alla Sacra Rota, che «la famiglia non va confusa con altre unioni»? Quali sarebbero state le ripercussioni in campo ecclesiale? Due domande non casuali visto che Ratzinger quel concetto l’ha espresso a più riprese nei suoi oltre sette anni di pontificato. Lo ha fatto nel 2005, per esempio, in occasione della presentazione delle credenziali del nuovo ambasciatore del Messico presso la Santa Sede: «Il valore irrinunciabile del matrimonio e della famiglia non può essere equiparato né confuso con altre forme di unioni umane».

ALLORA il papato del ‘Pastore tedesco’ era solo all’inizio, le sfide per la famiglia tradizionale, dettate dall’agenda politica italiana, ancora all’orizzonte. Ci vollero due anni e la proposta di legge sulle unioni civili del governo Prodi, i Dico, perché la minaccia diventasse concreta. Ratzinger non si fece scrupoli, serrò le fila e intervenne esplicitamente contro il ddl: «Siamo preoccupati per lòe leggi riguardanti questioni molto delicate come la trasmissione e la difesa della vita, la malattia, l’identità della famiglia e il rispetto del matrimonio», disse, ricevendo l'ambasciatore della Colombia presso la Santa Sede, Juan Gomez Martinez. La storia è fin troppo nota: dettata la linea, la Conferenza episcopale italiana sponsorizzò il Family Day – ufficialmente il presidente Angelo Bagnasco chiese ai vescovi di non partecipare, ma non fece altrettanto con i parroci –, la piazza di San Giovanni in Laterano si riempì di un milione di manifestanti e i Dico finirono in soffitta. E con loro 'i cattolici adulti'.

OGGI, a distanza di nove anni, la politica ripropone la stessa battaglia ideologica. Se possibile in termini ancora più contrappositivi, visto che il ddl Cirinnà – questo il nome del provvedimento della discordia – non si limita al semplice riconoscimento delle unioni civili gay, ma introduce anche la stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio di uno dei due partner. Più di ogni cosa, però,  è cambiato il contesto ecclesiale.... Francesco non cede di una virgola sul magistero della Chiesa su matrimonio e famiglia. Ciononostante, sul piano pastorale, il Papa non ne vuole sapere di «vescovi piloti» e di una Chiesa italiana «ossessionata dal potere, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale».

SE NE è accorto fin troppo bene il presidente della Cei, Bagnasco, che, all'indomani del suo endorsement al nuovo Family Day in programma domani dopo l'ultimo del 2015  – «una manifestazione condivisibile e assolutamente necessaria» –, si è visto negare da Francesco la consueta udienza privata che precede di qualche giorno la prolusione in apertura del Consiglio permamente dei vescovi. Risultato, nel discorso poi pronunciato lunedì, il cardinale ha sì richiamato il diritto-dovere dei credenti «di partecipare al bene comune» – «con serenità di cuore e spirito costruttivo» –, sulla scorta del’intervento del Papa alla Sacra Rota ha sì rimarcato «l’identità propria della famiglia», ma ha deliberatamente evitato di citare il Family Day. Disobbedire due volte al Papa sarebbe stato troppo.

L'OMISSIONE di Bagnasco, tuttavia, non significa che i vescovi siano divisi sulla manifestazione. Piuttosto siamo davanti a un appoggio prudente e variegato. C'è chi come il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, da sempre freddo su Family Day e dintorni, mantiene il silenzio, negandosi ai giornalisti per le interviste, e chi come il cardinale Edoardo Menichelli parla di «manifestazione dai contenuti condivisibili», ma aggiunge che «è importante non alimentare contrapposizioni, scontri, e innalzare ‘bandiere: per noi l’unica bandiera è quella di Cristo». Da Bologna, intanto, il nuovo arcivescovo Matteo Zuppi, area Sant'Egidio, sottolinea che «le priorità per il Paese sono altre, senza per questo dover eludere la questione delle unioni civili», mentre la Conferenza episcopale del Piemonte non si limita ad appoggiare il Family Day, a cui, va detto, non parteciperà il gotha dell'associazionismo cattolico, da Ac a Cl, passando per Agesci e Focolarini. «Tutte le unioni di coppie, comprese quelle omosessuali, non possono essere equiparate al matrimonio e alla famiglia – si legge nella nota dei vescovi piemontesi –. Tenuto fermo questo principio, anche le unioni omosessuali, come tutte le unioni affettive di fatto, richiedono una regolamentazione chiara di diritti e di doveri, espressa con saggezza».

NON MANCANO, poi, le sorprese. A partire dall'arcivescovo di Campobasso, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, che, nonostante l'indiscussa fama di pastore sociale, domani sarà a Roma a manifestare. Per l'ex pastore di Locri, che dice di «non avere nulla contro la Cirinnà», l'omonimo ddl non potrà essere accettato dalla Cei nemmeno dopo l'eventuale stralcio della stepchild adoption. Affermazioni inusuali per un arcivescovo dalla spiccata tendenza alla mediazione. Anche per questo dietro le quinte si vocifera di una strategia politica da parte della Cei: come dire, ora è il momento della dialettica - «non però delle piazze contrapposte», copyright dello stesso Bregantini -, poi, una volta instradato in Parlamento il ddl, sarà la volta della mediazione sul riconoscimento di diritti e doveri per le coppie omosessuali. Verità è misericordia, giustizia e tenerezza: per la Chiesa devono sempre andare di pari passo. Anche nella politica, un'arte di cui i vescovi italiani sono sapienti e abili maestri. In secula seculorum.

Giovanni Panettiere

Twitter: @panettiereg25

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