Pacem in terris

Zuppi dribbla la lezione di Biffi: sì a una moschea a Bologna

MANO tesa dell’arcivescovo di Bologna ai musulmani sulla costruzione di una moschea in città. A margine di un incontro dedicato alla presenza della comunità islamica sotto le Due Torri, rispondendo alla domanda se fosse o meno il tempo giusto per la costruzione di una moschea a Bologna, monsignor Matteo Zuppi ha risposto: «Veramente penso di sì. Tutte le grandi città ce l’hanno... Sinceramente non saprei come stanno le cose dal punto di vista urbanistico, se ci sono richieste, se c’è un pregresso. A Roma la moschea addirittura esiste dagli anni ’70 e credo che sia un luogo importante. Qualcuno pensa il contrario, ma sbaglia!».

EPPURE non manca chi ancora teme la realizzazione di un luogo di culto islamico a Bologna. «Bisognerebbe avere paura del fatto che non ci sia una moschea, perché vuol dire che ci sono altri luoghi», ha replicato l’arcivescovo per il quale una struttura simile «aiuta, anche solo se ragionassimo in termini di sicurezza e non dobbiamo mai ragionare solo così, perché altrimenti non troviamo la vera sicurezza». Dall'arcivescovo anche una stoccata a chi dice di difendere la sicurezza: «In genere creano più problemi. Confondono, illudono. Costruire dei muri fa illudere di avere sicurezza. La sicurezza non sono i muri». Quindi, accodandosi all’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ciellino da sempre in dialogo costante con l’islam – si pensi alla fondazione Oasis, da lui istituita –, Zuppi ha manifestato la speranza che «alcune feste islamiche siano accolte nelle scuole come auspicato dal cardinale Scola. Papa Francesco ci ricorda continuamente che dobbiamo costruire dei ponti fra le culture».

SUL VIA libera alla moschea con Zuppi si è schierato il rettore dell’Alma Mater, Francesco Ubertini. mentre il coordinatore della comunità islamica bolognese, Yassine Lafram, è parso particolarmente cauto: «Al momento non c’è sul tavolo un progetto per una moschea. Certo, avere un luogo di culto è un diritto costituzionalmente garantito, ma la costruzione di una moschea non deve essere il punto di partenza». Date le amministrative di giugno alle porte, Lafram, che con l'attuale arcivescovo emerito Carlo Caffarra ha intrattenuto sempre rapporti cordiali, in piena consonanza sulle sfide etiche, ha scelto il basso profilo. Anche perché sa bene che nella storia recente di Bologna si è già avuto un progetto di moschea. Erano gli anni della giunta Cofferati (2004-2009) e il minareto sarebbe dovuto sorgere nel quartiere San Donato. Sera dopo sera si susseguirono le riunioni, una più infuocata dell'altra, tra la giunta - l'assessore all'Urbanistica era l'attuale sindaco, Virginio Merola -  e i residenti. Alla fine non se ne fece nulla. Semplicemente prevalsero le voci dei contrari.

TRA queste anche quella della Curia che, memore della lezione del cardinale Giacomo Biffi sul rischio islamizzazione dell'Europa e sull'opportunità di favorire un'immigrazione cristiana, per bocca del vescovo ausiliare, Ernesto Vecchi,  in occasione della Tre giorni del clero del 2007,  ci tenne a rimarcare: «Una moschea non è solo un luogo di culto. È anche centro culturale e politico. Non può essere confusa con una parrocchia. Vanno ascoltate le istanze dei cittadini, perché con una moschea si va introdurre una realtà che incide sul tessuto sociale». Sette anni prima, quando si vociferava di un minareto a San Lazzero, un comune alle porte di Bologna, sempre Vecchi aveva detto:  «Tutte le grandi rivoluzioni, che abbiamo visto esplodere nei Paesi islamici, sono sorte nelle moschee». Difficile pensare che in Via Altabella  i contrari di allora abbiano cambiato opinione.  Poi, non si sa mai... Le vie del Signore sono infinite. Nel frattempo, buona fortuna al vescovo Matteo. Tra preti e laici timorosi, ne ha davvero bisogno.

Giovanni Panettiere

Twitter: @panettiereg25

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