Il teologo don Giovanni Cereti 
IL PRETE PIONERE E L’AMORIS LAETITIA: DA QUARANT’ANNI ACCOLGO I DIVORZIATI RISPOSATI
Articolo pubblicato parzialmente sul Qn (il Giorno, la Nazione, il Resto del Carlino), edizione del 9 aprile 2016
Giovanni Panettiere
«ERA ORA che un Papa riconoscesse la possibilità di un discernimento pastorale per i divorziati risposati. È da 40 anni che li accompagno e so quanto sono sollevati quando li assolvo e possono tornare a ricevere la comunione». Don Giovanni Cereti, 83 anni, rettore della chiesa dei Genovesi, un gioiello nel cuore di Trastevere, non è solo uno dei molti preti che plaude a Francesco per la svolta impressa con l’Amoris laetitia. Nel 1977, in veste di teologo, pubblicò il suo libro più celebre Divorzio nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, di recente finito nelle mani del Pontefice che lo avrebbe apprezzato molto.
Don Cereti, l’esortazione del Papa affida a voi preti l’accompagnamento spirituale dei divorziati risposati: è una responsabilità troppo grande?
«Non direi, è un impegno che certi confessori hanno assunto da tempo. Quello di Francesco è il riconoscimento di una tendenza entrata già in una certa misura nelle prassi di alcune Chiese locali».
I fondamenti di questo orientamento risalgono ai primi secoli del cristianesimo, non è vero?
«La soluzione avanzata dal Papa è in piena continuità con la prassi seguita dalla Chiesa delle origini e con la sua sollecitudine per la buona riuscita del matrimonio. Infatti, a quei tempi la Chiesa predicava la monogamia assoluta come ideale cristiano, ma aveva preso coscienza di avere ricevuto da Cristo il potere di assolvere tutti i peccati. Ciò è dimostrato, per esempio, dal canone 8 del concilio di Nicea (325): secondo questa disposizione, gli eretici novaziani, che desideravano rientrare nella Chiesa cattolica, dovevano rispettarne la prassi, accettando alla comunione eucaristica quanti vivevano in seconde nozze e quanti avevano fatto apostasia nel corso delle persecuzioni, dopo che si fosse conclusa la penitenza pubblica imposta a queste due categorie di soggetti. Il canone mostra, dunque, come anche la Chiesa dei primi secoli conoscesse la prassi della reintegrazione nella comunità dei divorziati risposati attraverso un cammino di conversione e di penitenza».
Che cosa significa accompagnare un divorziato risposato?
«Fargli prendere coscienza del proprio grado di responsabilità per aver calpestato le promessa di fedeltà e indissolubilità espressa durante la celebrazione delle nozze. Anche se poi è vero che esistono matrimoni invivibili in cui la separazione è necessaria e si deve consentire al diretto interessato di poter avere una nuova unione con un futuro rinnovato, secondo la volontà di Dio».
A che condizioni si può dare l’ostia?
«Quando il penitente è riuscito ad avere un confronto civile con l’ex coniuge su quanto accaduto, si è comportato con lui in maniera umana, ha costruito insieme un buon rapporto dopo la rottura del vincolo, ha assolto ai propri doveri nei confronti dei figli nati dal loro matrimonio. Poi deve esserci da parte sua un sincero pentimento per l’errore commesso e per l’avvenire la buona volontà di creare un’unione stabile nel rispetto dell’ideale cristiano».
La misericordia, quindi,  non va confusa con il buonismo.
«Assolutamente, la Chiesa primitiva riammetteva alla comunione, ma la persona doveva sempre compiere un certo cammino di penitenza. L’accompagnamento deve durare nel tempo per giungere appunto a un nuovo inizio che viene acconsentito attraverso il sacramento della confessione. Ciò detto, il prete deve avere sempre grande rispetto della coscienza del penitente».
In che senso, don Cereti?
«Voglio dire che spesso è il laico che, formatosi un giudizio sulla propria condizione, a un certo punto torna a prendere la comunione. Anche il Papa nell’Amoris laetitia sottolinea giustamente l’esigenza di rispettare la coscienza del singolo».
Lei è stato tra i precursori dell’assistenza spirituale ai divorziati risposati.
«Diciamo che, avendo studiato a fondo il problema e avendo scritto vari libri sul tema, sono stato interpellato da più persone e, in trenta o quarant’anni di servizio, ne ho assolte tante, dando loro la possibilità di accostarsi di nuovo alla comunione e di tornare in pienezza alla vita della Chiesa. Allora non si usava ma io ho caricato la mia coscienza è ancora oggi molti continuano ad essermi riconoscenti perché li ho messi in pace con loro stessi».
L’Amoris laetitia lascia ai vescovi il potere di tracciare le linee guida per questo tipo di accompagnamento. Qualche pastore si metterà di traverso nel nostro Paese?
«Non credo, c’è un orientamento generale a favore della riammissione ai sacramenti. L’esortazione ha il merito di lasciare ai vescovi locali, non solo sul versante dell’ostia ai divorziati risposati, una certa autonomia decisionale nel rispetto delle culture e delle sensibilità dei singoli Paesi. È un decentramento che non mina l’unità della Chiesa, perché questa in ogni dove annuncia sempre il modello cristiano sul matrimonio».
Dal Papa arriva uno sguardo più sereno sulla sessualità, con il sì a una ‘prudente educazione sessuale’ per i giovani. Stupito?
«Fa parte del suo approccio realistico e non astratto al tema della famiglia. Ben venga anche il suo richiamo a formare le coscienze dei coniugi e non a sostituirle anche in quella che è la loro vita affettiva».
Oltre al tema dell’amore coniugale, quali elementi nuovi riscontra nell’esortazione di Francesco?
«Il riconoscimento che l’unità nella fede che deve esistere nella Chiesa consente tuttavia un pluralismo di applicazioni pastorali, tenendo conto delle diverse epoche e delle distinte culture. In sostanza, si apre la via al decentramento anche per quanto riguarda la soluzione dei problemi pastorali. E questo, facendo una grande attenzione alle singole persone, tenendo conto delle varie situazioni. Mi ha colpito, poi,  anche il riconoscimento di errori che ci possono essere stati nella Chiesa che hanno reso meno desiderabile il matrimonio (n. 36), e la confessione che ‘stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi’ (n. 37). Il rispetto della coscienza di ogni persona, affermato con tanta convinzione dal Vaticano II,  è la risposta principale offerta a tante situazioni difficili».
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