Pacem in terris

Cinquant’anni dall’enciclica anti-pillola. L’antropologo Marengo: “Nella Humanae vitae la profezia di Paolo VI”

Giovanni Panettiere

BOLOGNA

L’ENCICLICA più discussa nella storia recente della Chiesa, eppure tra le meno conosciute nel suo contenuto integrale, come nel proprio iter di elaborazione. A mezzo secolo dalla pubblicazione dell’Humanae vitae (25 luglio 1968), uno studio ricostruisce la genesi del documento col quale papa Paolo VI condannò la contraccezione artificiale. Il risultato di questa ricerca storica è il volume ‘La nascita di un’enciclica’ (Libreria editrice vaticana, 288 pagine, 15 euro), a firma di  Gilfredo Marengo, docente di Antropologia teologica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, che, in virtù di uno speciale permesso di papa Francesco, ha esaminato le carte degli Archivi vaticani, portando alla luce fatti inediti di un travagliato percorso di stesura.

SI SCOPRE così che Montini nel 1967 condusse un sondaggio riservato sulla liceità della pillola tra i padri del primo Sinodo dei vescovi. Al Pontefice risposero per iscritto in 26 su 200. Sette i contrari. Tra i favorevoli il cardinale Léon Suenens (Bruxelles), già critico con Paolo VI per la sua scelta di espungere il tema dal dibattito in seno al Concilio Vaticano II (1962-1965), e il vescovo brasiliano Aloisio Lorscheider, ‘il Pontefice’ del patriarca Albino Luciani che lo votò nel primo conclave del ’78 per poi uscire lui stesso Papa. Dall’altra parte, il giovane vescovo Karol Wojtyla (Cracovia), che, una volta sul soglio petrino, giustificherà più che altro in chiave antropologica l'opposizione alla contraccezione artificiale, e il Papa mancato, il cardinale Giuseppe Siri (Genova). All’indomani di quella consultazione poteva sembrare inevitabile una svolta progressista sull’attuazione pratica della paternità responsabile, ‘benedetta’ dal Vaticano II (costituzione pastorale  ‘Gaudium et spes’, 1965), e invece Montini preferì la continuità col magistero precedente, quello di Pio XI e Pio XII, favorevoli rispettivamente alla continenza naturale nei rapporti sessuali (‘Casti connubii’, 1931) e al metodo Ogino-Knaus (‘Discorso alle ostetriche’, 1951).

PRIMA, però, Paolo VI bocciò, dopo un iniziale disco verde, un’enciclica sulla regolazione delle nascite scovata da Marengo negli Archivi vaticani e di cui finora non si sapeva nulla: la ‘De nascendae prolis,’ considerata dal Pontefice troppo dottrinale. Paolo VI accantonò anche il contributo (stavolta favorevole alla liceità della pillola) a lui consegnato nel ’66 dalla commissione ad hoc sulla contraccezione, costituita tre anni prima da Giovanni XXIII. Alla fine elaborò e pubblicò l’Humanae vitae che, predicando sul piano pastorale prudenza di giudizio ai confessori, chiuse alla contraccezione artificiale, ma senza pronunciarsi con i crismi dell’infallibilità sanciti dal Concilio Vaticano I (1869-1870). Di questo e altri aspetti dell’enciclica parliamo direttamente con il professor Marengo che ha voluto esaminarla nella sua genesi.

 

Monsignore, perché ha sentito la necessità di uno studio così approfondito sull’Humanae vitae?

«Come è noto, siamo davanti a uno dei documenti ecclesiali più dibattuti e contestati. In questi anni mi sono convinto del fatto che molte di queste critiche dipendano, se non in modo esaustivo almeno in gran parte, da congetture sul processo seguito nell’elaborazione dell’enciclica. Per questo credo che uno studio rigoroso, centrato sulle fonti conservate negli Archivi vaticani, possa contribuire a restituirci le reali intenzioni di Paolo VI».

Ritiene anche lei che ‘Humanae vitae’ nella memoria collettiva sia stata schiacciata sulla sua stigmatizzazione della pillola, facendo perdere di vista quell’urgenza pastorale di accompagnamento delle coppie così sentita da Montini e da lui espressa nella terza e ultima parte del testo?

«Il Papa in coscienza ha ritenuto di dover condannare la contraccezione artificiale, ma allo stesso tempo era consapevole della difficoltà di ricezione di un simile pronunciamento. Avvertiva la complessità per le coppie cristiane di accogliere questo giudizio morale sulla pillola. Non a caso nel dettato dell’enciclica è chiarissimo quanto Montini si spese nell’invitare i fedeli a riflettere, a capire le ragioni di un divieto che nelle sue intenzioni non era e non doveva essere una mortificazione della sessualità e dell’amore quanto piuttosto un obiettivo positivo da raggiungere con un percorso di accompagnamento».

Il no alla pillola di Montini si giustifica solo da un punto di vista morale o dagli Archivi vaticani emerge anche dell'altro?

«Le carte ci consegnano un Papa fortemente preoccupato per le politiche di birth control sponsorizzate dalle agenzie internazionali nei Paesi africani in via di sviluppo che in quegli anni uscivano dal colonialismo. Dalle nunziature apostoliche di quei territori gli giungevano in continuazione lettere nelle quali si denunciavano questi atteggiamenti. Purtroppo l’aver ridotto l’Humanae vitae al solo giudizio morale sulla contraccezione artificiale ha offuscato la grande intuizione di Montini che aveva previsto la drammatica denatalità dei nostri giorni. L’istanza morale e quella volta a contrastare il calo demografico in lui procedono di pari passo».

Contestato dagli ambienti progressisti per aver sottratto il tema della pillola dal dibattito conciliare e per non aver dato seguito alle indicazioni liberal elaborate dalla commissione ad hoc, va riconosciuto a Paolo VI di essersi rifiutato di considerare infallibile l’Humanae vitae. Chi spingeva per chiudere una volta per tutte il confronto nella Chiesa sulla contraccezione?

«Le pressioni arrivavano per lo più dagli ambienti curiali legati alla Tradizione. Gli stessi settori dai quali poi venne elaborata, tra il ‘67 e il ‘68, la ‘De nascendae prolis’. Un documento che, a dispetto di qualche anticipazione di stampa uscita nei giorni scorsi, non apriva in alcun modo alla liceità della pillola. Il suo estensore, il domenicano padre Mario Luigi Ciappi, semmai era preoccupato di approntare una solida struttura dottrinale a sostegno della procreazione come fine primario delle nozze, bocciando di conseguenza, in verità in maniera definitiva più che infallibile, la contraccezione artificiale, e senza prendere in carico un forte profilo pastorale del testo».

Come si spiega il fatto che Montini non volle lasciare al dibattito conciliare un tema così delicato come quello della pillola?

«Paolo VI durante il Vaticano II ha sempre sentito l’urgenza di salvaguardare e mostrare all’esterno una Chiesa unita piuttosto che spaccata in varie posizioni. Con la ‘Gaudium et spes’ il Concilio affermò per la prima volta, da un lato, che se si vuole descrivere il matrimonio si deve partire dall’amore fra i coniugi, dall’altro, che la paternità responsabile è un valore e non una concessione come era stata intesa da Pio XII nel suo ‘Discorso alle ostetriche’. A questi risultati si approdò dopo un aspro e serrato confronto fra i vescovi che convinse Paolo VI del fatto che con molta probabilità mettere a tema un giudizio sui metodi di regolazione delle nascite avrebbe creato forti divisione tra i padri conciliari».

Alla fine decise lui e andò contro gli orientamenti della commissione speciale sulla pillola e della maggioranza dei vescovi, come dimostra nel suo piccolo anche l’esito del sondaggio del '67.

«La chiarezza di giudizio, che Montini aveva maturato sul problema, lo convinse a procedere in una direzione differente da quanto in vario modo la maggioranza di chi aveva consultato gli suggeriva. Certamente è stata una decisione non facile, ma lui la prese con grande serenità, pur consapevole che questo lo avrebbe esposto a reazioni critiche forti, come di fatto avvenne».

Oggi pensa che vi siano margini per un aggiornamento dell’enciclica?

«Non si tratta di 'aggiornare l’enciclica', ma di fare tesoro del suo insegnamento, alla luce di tutto quanto, in questo mezzo secolo, la vita ecclesiale ha maturato sui temi fondamentali del matrimonio e della famiglia, da Giovanni Paolo II all’attuale Papa. Personalmente considero profetica la decisione assunta dal Paolo VI nel '68. I contenuti dell'Humanae vitae probabilmente hanno ancora bisogno di essere meglio accolti e compresi».

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