I fantasmi del Vaticano II, le ventitré madri che cambiarono la storia della Chiesa
(La professoressa Adriana Valerio a Bologna, lunedì 3 dicembre 2012)
VENTITRÉ nomi dispersi nei sentieri della memoria, ventitré donne delle quali in pochi nella Chiesa cattolica conoscono la storia. Rimossa, archiviata, nonostante siano state le prime rappresentanti femminili presenti in un concilio ecumenico, il Vaticano II (1962-1965). Dalla suora americana Mary Luke Tobin alla francese Marie-Louise Monnet, dieci religiose e tredici laiche che papa Paolo VI, a sorpresa, nominò uditrici dell'assemblea episcopale.
L'ANNUNCIO arrivò in un lontano martedì 8 settembre 1964 davanti a una platea composta prevalentemente da suore e monache. Con parole prudenti il pontefice comunicò di aver dato <disposizioni affinché anche alcune donne, qualificate e devote, assistano, come uditrici, a parecchi solenni riti e parecchie congregazioni generali della prossima terza sessione del Concilio ecumenico Vaticano II>. Per queste madri del Concilio Montini pensava a una presenza meramente simbolica, non certo attiva. Ma il suo gesto, se collocato nel contesto ecclesiale di quel periodo, ancora viziato da un atavico maschilismo, ha segnato un punto di non ritorno per la Chiesa cattolica. Anche perché le dirette interessate fecero di tutto per rendere viva la loro partecipazione all'assise. Ne sono prova i documenti e i diari, che hanno redatto, e il dialogo con alcuni vescovi durante i momenti di pausa delle sessioni conciliari. Un lavoro sotto traccia che ha impresso un'impronta femminile su certe affermazioni del Vaticano II: per esempio, la pari dignità tra uomini e donne nella Chiesa o la ricchezza di valori del matrimonio, fino ad allora letto solo, o quasi, in chiave procreativa.
QUANDO Paolo VI decise di nominare delle uditrici sapeva di poter contare sull'appoggio incondizionato dell'episcopato americano, tedesco e belga. Proprio l'arcivescovo di Bruxelles, Léon Joseph Suenens, durante la II sessione del Vaticano II, chiese apertamente di aprire le porte dell'assemblea al gentil sesso, visto che, sottolineò con una certa ironia, <mi pare che le donne rappresentino il 50% dell'umanità> (22 ottobre 1963). Ma dietro Montini si aggirava soprattutto il fantasma del suo predecessore. Quel Giovanni XXIII che volle il Vaticano II per spronare la Chiesa a cogliere i segni dei tempi, emancipazione femminile inclusa.
CERTO, non mancarono i contrari alla svolta rosa di Paolo VI. In primo luogo il fronte curiale, capitanato dal segretario del Concilio, Pericle Felici, che tergiversò non poco a inviare alle ventitré gli inviti a partecipare all'assemblea. Con il risultato che il papa, aprendo i lavori della III sessione, salutò le uditrici come se fossero realmente presenti in San Pietro. E, invece, a sua insaputa, non erano state ancora formalmente convocate. Chi si oppose alla presenza femminile in Concilio argomentava il suo no, facendo leva sull'insegnamento di San Paolo che imponeva alle donne di non parlare in assemblea (1Cor 14,34). La tesi trovò concorde la maggioranza dei vescovi italiani. L'unico, che pubblicamente prese le distanze da una simile impostazione, fu il vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani. Queste le parole del futuro Giovanni Paolo I: <San Paolo quella proibizione di parlare (a mio giudizio) l'ha data soltanto alle donne di Corinto e per quel dato momento> (Avvenire, ottobre 1964). Qualche anno più tardi, elevato al soglio petrino, il Papa del Sorriso si spingerà ancora oltre, avanzando la suggestione, del tutto innovativa per un vescovo di Roma, che <Dio è padre, ma ancora di più è madre> (Angelus, 10 settembre 1978).
ANCHE una volta entrate finalmente in San Pietro per le madri del Concilio non mancarono le difficoltà. Già limitate dal fatto che non potevano intervenire in assemblea, dovettero fare i conti con gli sguardi severi e la freddezza di qualche vescovo ostile alla loro presenza. Nelle pause delle congregazioni generali a loro era vietato l'accesso al Bar Abba, allestito per i padri. Si dovevano accontentare di uno spazio messo su in tutta fretta, dove potevano sorseggiare una tazza di tè o un caffè. In perfetta solitudine... I paletti investivano anche il vestiario. Se le religiose erano chiamate a indossare il rigido abito talare, così come era concepito prima del Vaticano II, alle laiche era imposto il velo e un completo nero. Una di loro, Gladys Parentelli, ebbe l’audacia di presentarsi a capo scoperto e con le maniche corte: si ritrovò tagliata dalle foto ufficiali. Diffidenze e limitazioni. Ma si sa ogni rivoluzione, che si rispetti, costa sempre qualche sacrificio. Nella Chiesa più che altrove. Anche quello di finire nel dimenticatoio della storia per tanti, troppi anni.
Giovanni Panettiere
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