Papi della vigilia, cardinali per sempre
DA RAMPOLLA DEL TINDARO A SIRI, CHI ENTRA PAPA ED ESCE CARDINALE
Storia dei favoriti in Conclave che sono rimasti a bocca asciutta
Articolo pubblicato su Qn (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione), edizione dell'11 marzo 2013
Giovanni Panettiere
ROMA
«CHI ENTRA Papa in conclave ne esce cardinale». Non sarà sempre vero, Joseph Ratzinger docet, ma l’adagio sul favorito al soglio petrino ha fatto più di una vittima nell’ultimo secolo. Chiedetelo a Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913), palermitano e storico segretario di Stato di Papa Leone XIII (1878-1903). Alla morte dell’autore della Rerum novarum (1891), la prima enciclica sociale nella storia della Chiesa, per Rampolla il soglio petrino sembrava a portata di mano. Non a caso, dopo le prime due votazioni in Cappella sistina, la candidatura alternativa di Girolamo Maria Gotti era già bella che sfumata. Peccato che, quando ormai l’elezione del siciliano stava andando in porto senza patimenti, il potere temporale ci ha messo lo zampino. Non direttamente, ma per bocca di un portavoce polacco, quel Giuseppe Puzyna, arcivescovo di Cracovia, che sotto la volta di Michelangelo estrasse un foglietto e trepidante annunciò ai confratelli il veto dell’Impero austro-ungarico contro il segretario di Stato. Troppo filo francese, troppo liberale per il kaiser Francesco Giuseppe. In Cappella Sistina calò il gelo e, anche se per la verità Rampolla era già riuscito a far convolare sul suo nome il massimo di consensi possibili, il semaforo rosso di Vienna agevolò l’elezione del più gradito Giuseppe Sarto. Che, dopo sette scrutini e 50 voti a favore su 62, assunse il nome di Pio X (1903-1914).
AI PRIMI del Novecento erano ancora gli Stati a interferire sul conclave, nel 1978 toccò alla stampa. Deve aver pensato alla vicenda dell’arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri (1906-1989) il primo ministro vaticano uscente, Tarcisio Bertone, nel vergare la stizzita nota della Segreteria di Stato contro i giornali che condizionano l’elezione del vescovo di Roma. Papa Albino Luciani (1978) era morto dopo solo trentatré giorni e i cardinali non avevano troppa voglia di affidare il soglio petrino in mani non italiane. A giocarsela erano Siri e l’ex sostituto in Segreteria di Stato, il più progressista Giovanni Benelli, quest’ultimo in rincorsa sul cardinale della Lanterna. Almeno fino al passo falso dell’avversario. Negli ultimi giorni prima del conclave Siri concesse una lunghissima intervista alla Gazzetta del Popolo, uno dei più antichi quotidiani italiani che allora gravitava nell’area della sinistra democristiana di Forze Nuove, la corrente di Carlo Donat-Cattin. A tu per tu con il giornalista il cardinale espresse un netto dissenso nei confronti di molte linee guida del Concilio Vaticano II a cominciare dalla collegialità episcopale: «Non so nemmeno che cosa voglia dire — azzardò Siri —. Il Sinodo non potrà mai diventare istituto deliberativo nella Chiesa, perché non è contemplato nella costituzione divina della Chiesa». L’intervista, così come concordato, avrebbe dovuto essere pubblicata solo a conclave iniziato. In effetti, avvenne proprio questo. Ma nelle ore precedenti alcune anticipazioni furono consegnate alle agenzie di stampa. E su Siri calò il sipario: la sera del 16 ottobre 1978 Karol Wojtyla (1978-2005) impartì la sua prima benedizione apostolica urbi et orbi dal loggiato di San Pietro. Pochi giorni più tardi, a Genova, l’ennesimo Papa della vigilia tornava semplice cardinale.