Bergoglio sblocca la causa di beatificazione di Oscar Romero
NELL'ULTIMO decennio era sprofondata nel silenzio. Ora la causa di beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, l'arcivescovo di San Salvador trucidato il 24 marzo 1980 mentre celebrava messa, si è rimessa in moto su disposizione di papa Francesco. Ad annunciare lo sblocco è stato il postulatore, monsignor Vincenzo Paglia, presidente del pontificio consiglio della famiglia. Il prelato ne ha parlato ieri a Molfetta (Bari) durante le celebrazioni per i venti anni dalla morte di don Tonino Bello, storico vescovo della cittadina pugliese, dopo l'udienza avuta sabato con il pontefice. Ricordando che anche per l'indimenticabile presidente di Pax Christi è in corso un processo di beatificazione, Paglia ha auspicato che <i due servi di Dio possano salire insieme all'onore degli altari, don Tonino come confessore e Romero come martire>, perché <Gesù gli apostoli li manda sempre due a due>.
QUEL 24 maggio 1980 Romero stava celebrando l'Eucarestia nella cappella dell'ospedale oncologico di San Salvador. Un cecchino gli sparò un solo colpo, che gli recise la giugulare, mentre l'arcivescovo stava elevando l'ostia della comunione. Nell'omelia Romero aveva appena ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador che - nel contesto della guerra civile vissuta dal Paese centroamericano - aggiornava ogni giorno le mappe dei campi minati, mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. Solo pochi mesi prima di cadere vittima degli 'squadroni della morte', quasi fosse una premonizione, l'arcivescovo aveva detto che <il Concilio Vaticano II chiede a tutti i cristiani di essere martiri, cioè di dare la vita: ad alcuni chiede questo fino al sangue, ma a tutti chiede di dare la vita>.
NE AVEVA avuti di avvertimenti, ciònonostante Romero non smise mai di puntare il dito contro militari, paramilitari, squadroni della morte, schierandosi contro la dittatura, a fianco dei poveri e degli umili. Proprio questa suo impegno politico-sociale gli procurò non poche incomprensioni con la Curia romana, spiazzata dall'atteggiamento di un vescovo di provenienza conservatrice - era vicino all'Opus dei - e convertito, strada facendo, dal suo popolo. Romero era rimasto scioccato dall'uccisione nel 1978 di padre Rutilio Grande, gesuita, e di due catechisti. Padre Rutilio era il suo migliore amico: lo aveva accompagnato dal seminario alla cattedra di primate. Davanti ai massacri che si ripetevano chiese allora un'indagine seria. Per tutta risposta i giornali di regime pubblicarono l'immagine di Giovanni Paolo II e un suo ammonimento tra virgolette: <Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti>.
LA CAUSA di beatificazione di Romero, venerato come un santo martire in America Latina, è stata aperta nel 1997, ma nell'ultimo decennio è finita nel dimenticatoio. Colpa anche del rapporto non facile tra l'arcivescovo e papa Giovanni Paolo II. Con Wojtyla, nonostante le sue insistenze, Romero ebbe un solo colloquio privato nel 1979. Il faccia a faccia fu contrassegnato dal silenzio del pontefice che congedò l'arcivescovo con una manciata di parole: <Cerchi di andare più d'accordo con il governo del suo Paese>. Giovanni Paolo II non parteciperà ai funerali di Romero. Nel 1983, però, durante una visita in San Salvador, anche il papa polacco fini per inginocchiarsi davanti alla sua tomba. Trent'anni dopo il primo vescovo di Roma latinos rilancia il processo di beatifcazione di quello che resta un martire cristiano. O meglio, il 'vescovo fattosi popolo'.
Giovanni Panettiere
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