Prima l’esempio, poi la preghiera: la lezione di don Nunzio
PRIMI passi sulle orme di Bergoglio per monsignor Nunzio Galantino. Il papa non avrebbe potuto pretendere di meglio dall'uscita pubblica numero uno del neosegretario della Cei, nominato a tempo di record qualche giorno fa dallo stesso pontefice. Intervenendo ieri al Convegno nazionale per la pastorale delle vocazioni, il vescovo di Cassano allo Ionio, che, in linea con la sobrietà cara a Francesco, abita in seminario, perché l'episcopio è troppo grande, non ha segretari e al titolo di 'eccellenza' preferisce il ben più semplice 'don', ha preso le distanze dai sacerdoti <faccendieri> o <professionisti>. Meglio invocare persone <capaci di spendersi in maniera credibile per gli altri>.
MONSIGNOR Galantino - riferisce l'agenzia Sir - ha anche invitato i preti a dare innanzitutto il buon esempio: <La preghiera va bene, ma dobbiamo renderci conto molto di più che l'esempio è indispensabile. Senza esempio da parte delle persone consacrate, le preghiere non vanno da nessuna parte>. Anzi, riferendosi al clero e con una buona dose di autocritica, il vescovo ha ricordato che <con il cattivo esempio, la mancanza di passione o di lealtà, possiamo anche sterilizzare la preghiera>. Quindi, nell'auspicio finale, ha citato Bergoglio: <L'augurio che faccio a tutti quanti noi è quello di sentirci spinti, sulla linea di quanto Papa Francesco ci sta dicendo, a rendere testimonianza con gioia di quello che viviamo dentro di noi>.
INSOMMA Francesco in questi mesi è stato fin troppo chiaro: non è più tempo di cristiani <da Quaresima senza Resurrezione>, servono sacerdoti <pastori, non funzionari>. Sopratutto, come ricordava il Poverello d'Assisi, i cristiani sono chiamati <a testimoniare sempre il Vangelo, se necessario con le parole>. Un linguaggio semplice, quello del papa, per una riforma che parte dal cuore più che dagli atti di governo. Galantino lo sa bene e lo ha anche dimostrato. Fin da subito. Perché la rotta di Pietro è segnata e la Chiesa italiana non può tirare i remi in barca. O peggio, scendere a terra.
Giovanni Panettiere
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