HO FATTO una piccola ricerca, nata da una considerazione che non c’entra niente con la pallavolo. A Modena un mio amico, Roberto Alperoli, che occasionalmente è anche l’assessore alla cultura del Comune, sta portando avanti un’operazione culturale iniziata quando era sindaco del paesino di Castelnuovo Rangone. Dove ha intitolato un parco con statua a John Lennon, ha fatto posizionare lungo una pista ciclabile alcune targhe con versi di poeti e scrittori della beat generation (a me piaceva molto salutare Kerouac, passandogli davanti in bici), e con un’ironia rara per un rappresentante delle istituzioni, ha fatto mettere davanti al municipio la statua in bronzo di un maiale. Cioè dell’animale su cui si basa gran parte dell’economia del paese (dove ogni anno sotto Natale si affetta un maxizampone lungo decine di metri, ed è una festa per tutti). Sulla stessa piazza, Alperoli ha fatto posizionare mattonelle colorate che ricordano le fiabe di Dino Buzzati. Qualche mese fa a Modena ha intitolato un parco molto vissuto dalla città a Bonvi, il disegnatore delle Sturmtruppen. Insomma, questo assessore negli anni ha saputo dare al territorio il segno di un immaginario condiviso.

LA PALLAVOLO che c’entra? C’entra, perché partendo da questa idea ho provato a fare due conti. I palasport della massima serie li ho visti quasi tutti, nel corso degli anni. E mi sono reso conto che sono pochissimi i nomi scampati alle maledizioni dei soldi o della banalità topografica. Mi spiego meglio: un po’ mi dispiace, ma ovviamente capisco che il nome di molti impianti sia scritto con il colore dei soldi dagli sponsor che stipulano contratti per farsi conoscere e vedere. In A1 maschile per esempio succede a Cuneo, Monza, Piacenza, San Giustino. Altri, come gli impianti di Trento (Trento) e Macerata (Fontescodella), o Genova (Lago Figoi) e Cantù (Parini) in A2, identificano una località o un indirizzo, come quelli che ospitano squadre femminili a Pesaro (Campanara), Urbino (Mondolce), Forlì (Villa Romiti), Matera (Sassi). Singolari sono i casi di Modena e Padova: nel primo, anche se quest’anno è stato ribattezzato PalaCasa Modena, per tutti l’impianto resterà sempre il PalaPanini, intitolato al re delle figurine e del volley Giuseppe. Il secondo, il PalaFabris, è intitolato a un imprenditore molto noto in città che fa parte della compagine societaria veneta. Non è il primo, a vedere in vita il suo nome su un palazzetto: è capitato anche a Fefé De Giorgi, a Squinzano, e al cestista Alessandro Fantozzi.

CURIOSO il caso di Ravenna: il pala De André non è intitolato al cantautore, ma al fratello Mauro, che come il padre di Faber era un dirigente dell’Eridania, storicamente fondamentale per l’economia locale. Automatica l’intitolazione del palasport di Montichiari a Jimmy George, che trascinò il volley bresciano (ma al maschile) fino alla serie A1, prima di perdere la vita in un incidente stradale. Singolare invece la scelta di Parma, anche se ormai consolidata dagli anni: Bruno Raschi era un giornalista di ciclismo della Gazzetta dello Sport, originario di Borgotaro e ospite fisso del Processo alla Tappa. Per quanto ho capito, il Nicola Bianchini che dà il nome al palazzetto di Latina era un giocatore di basket locale.

INSOMMA, HO NOTATO una cosa: il tributo a persone reali che sono legate in qualche modo al territorio è più frequente in A2 che in A1, sia maschile che femminile, e nelle località più piccole. A Reggio Emilia il PalaBigi è intitolato a un assessore, a Città di Castello porta il nome di Andrea Joan, figlio del dirigente storico Arveno, scomparso un anno fa, e simile è il discorso a Loreto per il PalaSerenelli (poco lontano, a Falconara, c’è il PalaBadiali, dedicato a un giocatore della gloriosa scuola biancoverde scomparso in giovane età). Non avendoli potuti controllare tutti, gradirò segnalazioni attendibili sui nomi degli altri palasport di A2.

Ma la provincia sembra essere più ‘generosa’ nei confronti dei propri figli. Ci sarà un motivo, immagino.

 

Grazie  a Mario Salvini, Alberto Sanavia e Beatrice Terenzi per l’aiuto.