LO AMMETTO: pur essendo un giornalista abituato a usare i social network, ieri sono rimasto molto colpito dalla potenza che possono sprigionare quando vengono usati in modo ‘costruttivo’. Non parlo del cazzeggio che popola l’80% dei messaggi, ovviamente, ma della possibilità di far conoscere a tutto il mondo digitale cose che altrimenti potrebbero restare ignote per sempre. A chi si chiede che cosa c’entri questo con la pallavolo, voglio spiegare che il pretesto è labile, stavolta, ma comunque c’è. Perché una delle due storie riguarda alcuni miei colleghi e amici che ieri sono rimasti bloccati su un treno dalle parti di Forlimpopoli per otto ore, al freddo e al gelo, e non hanno potuto raggiungere Macerata dove si sarebbero dovuti occupare della partita di Champions League tra Lube e Bre Banca Cuneo. Erano sul Milano-Taranto del quale oggi si sono occupati tutti i giornali, quindi probabilmente la storia della loro odissea la conoscete già.
Però, almeno per il sottoscritto, nessuna odissea era stata mai raccontata in questo modo. Chi ha gestito (malissimo, direi) l’emergenza causata da un guasto tecnico provocato dal ghiaccio, stavolta è stato smascherato in diretta. Perché alcuni di questi giornalisti, grazie a strumenti come Ipad e smartphone e all’accesso a Twitter, hanno raccontato in diretta anche sul Tgcom quello che capitava sul treno maledetto, pubblicando tra le altre cose sequenze video con le spiegazioni a volte assurde fornite dal personale di bordo. Insomma, se c’è una volta che i social network, e twitter in particolare, hanno aiutato a fornire del ‘giornalismo verità’, è stata questa. In altri tempi, nemmeno troppo lontani, per conoscere quello che avevano vissuto i protagonisti di questa disavventura avremmo dovuto aspettare che scendessero dal treno e che ci fosse qualcuno ad intervistarli. Magari dopo un giorno, magari senza poter cogliere tutte le sfumature.
Spero anche che la possibilità di interagire con chi stava al caldo ma partecipava emotivamente e cercava di rendersi utile dando qualche informazione dall’esterno abbia fatto sentire meno sole le vittime di questo viaggio nell’inferno bianco. La parola naufrago di questi tempi non va usata con leggerezza, ma per certi versi credo che i miei amici e tutti gli altri passeggeri (circa 600) fossero come naufraghi sull’isola di un binario morto, circondati da un mare di neve e di freddo. Con due grosse differenze: non erano in una località sperduta, ma a tre chilometri da una stazione di una zona altamente civilizzata. E soprattutto i loro messaggi in bottiglia potevano essere letti da tutti istantaneamente (anche da parenti e amici che altrimenti sarebbero stati nell’angoscia del dubbio), e loro potevano ricevere una risposta. Anche una battuta a volte aiuta a passare il tempo.
L’altro binario dello stupore riguarda il massacro dello stadio egiziano che ha portato alla sospensione del campionato di calcio. Lo sport non c’entra, ovviamente si tratta di tumulti e bagni di sangue dovuti alla polveriera sociale che oggi è l’Egitto. Ma mentre seguivo le vicende dei miei amici, ‘twittavano‘ anche molte persone coinvolte a qualche titolo nella strage del Cairo. E lì ho visto al lavoro un altro meccanismo importante. Molti di loro raccontavano cose sentite dalla tv, altri che erano più o meno vicini al luogo del massacro fornivano notizie in presa diretta, altri ancora addirittura provavano a fare controinformazione, negando l’esistenza di qualsiasi morto, quando già si sapeva che erano oltre settanta. Segno che i tweet hanno una forza spaventosa di documentazione diretta, ma che anche lì sta arrivando un pericolo forse anche maggiore della censura di cui si parla da tempo, per esempio per la Cina.