PRIMA DI LEGGERE sul Washington Post un articolo dedicato al sitting volley, non ci avevo pensato. Non avevo osato immaginare che le terre teatro di guerre recenti sono vivai numerosi per la pallavolo giocata da chi ha perso una o entrambe le gambe. La notizia buona però è che anche chi ha subito questa disavventura può diventare un idolo. Il testo in inglese lo trovate qui http://www.washingtonpost.com/world/europe/2-decades-after-bosnias-war-erupted-the-national-idols-are-volleyball-players-without-limbs/2012/04/03/gIQAIgS6sS_story.html.
La traduzione con sintesi è questa: vent’anni fa, i giovani bosniaci veneravano i giocatori di basket e nessuno aveva mai sentito parlare delle Paralimpiadi. Adesso, venti anni dopo che la guerra è divampata, le nuove stelle sono sempre alte e muscolari, ma molti di loro hanno perso un arto. La nazionale maschile di sitting volley schiera diverse vittime del conflitto che hanno trasformato la loro tragedia personale in medaglie d’oro. E adesso sono stelle che i tifosi aspettano all’aeroporto. Il quarantaduenne Asim Medic, giocatore della nazionale, conferma: “Alcuni ci vedono proprio così, è bello essere riconosciuti per strada. Una volta scrivevano libri sulla nostra nazionale di basket, sfortunatamente adesso lo fanno su di noi”. Nel 1993, Medic lasciò una gamba su una bomba. Durante la riabilitazione i medici gli consigliarono di fare sport, anche per combattere la depressione. Le sedute anti-stress sono diventate allenamenti veri e propri, e il numero crescente dei mutilati di guerra ha portato all’aumento delle squadre e alla nascita di diversi campionati. Non uno solo: diversi.
Nel 1997, due anni dopo la fine della guerra, la nazionale maschile bosniaca ha vinto la prima medaglia, un bronzo agli europei, bissata ai mondiali in Iran prima di iniziare una marcia fatta quasi sempre di medaglie d’oro dagli europei successivi, a Sarajevo. “Cerchiamo di essere un esempio per molti che hanno il nostro stesso problema, per evitare che finiscano abbandonati a se stessi, su una strada”, dice Medic.
Il problema vero comunque è ancora e sempre quello dell’etnia. Non ci sono serbi bosniaci, nella nazionale bosniaca: “E’ un peccato, hanno molti talenti, ma hanno tutti il doppio passaporto e preferiscono giocare per la Serbia”, racconta Sabahudin Delalic, il capitano. La Serbia non ha mai vinto una medaglia, in questi anni. Ma nessun serbo ha scelto di giocare per la Bosnia: “Dicono che non è ancora il momento giusto, ma la nostra porta è sempre aperta”, prosegue Delalic, che perse una gamba nel 1992 mentre combatteva: “Ho pensato che poteva andarmi peggio, potevo essere già morto”. Il sitting volley ha cambiato la sua vita: “La nostra disabilità non significa più nulla per noi. Abbiamo vinto sei europei, un mondiale, una Paralimpiade. Abbiamo vinto tutto quello che si può vincere sul pianeta”. Resta la battaglia più dura, quella culturale e storica.
© Riproduzione riservata