Ovviamente tutti oggi parlano della vera Brexit. Ma nel volley ce n’è una, per ora soltanto virtuale, che a turno alcuni club soprattutto italiani minacciano da tempo.

Parlo dell’uscita dalle Coppe Europee, ovvero della mancata partecipazione volontaria ai trofei continentali. Solo per restare agli ultimi mesi, l’ha prospettata come eventualità realistica la presidentessa di Modena, Catia Pedrini, ‘a meno di trovare uno sponsor ad hoc’. Le ragioni sono puramente economiche: oggi la Champions League costa moltissimo, anche perché ci sono vincoli precisi della Confederazione Europea sulla raccolta pubblicitaria dei club, e non dà molte certezze di arrivare almeno alla final four. A quella arriva un club che decide di pagare per ospitarla, e negli ultimi anni potevano farlo solo ad Est. Le altre tre caselle sono troppo poche, per chi ragiona in termini di business: con almeno una decina di squadre contro cui giocarsela alla pari, italiane comprese, significa che ogni club ha meno del 10% di chances di vincere, alla vigilia. L’unica cosa sicura sono le spese, insomma. Il gioco non vale la candela di un ritorno che piace solo agli sponsor di maglia (che poi, come nel caso di Modena con la Dhl, magari se ne vanno dopo un anno con tanti saluti).

Nelle settimane scorse anche due società di serie A1 femminile, Conegliano e Novara, hanno prospettato l’eventualità di non disputare la Champions, ma nel loro caso la polemica è nei confronti della decisione della Fipav di obbligare i club a schierare un’italiana in più dal 2017. Scelta che farebbe lievitare i costi, e ammetto che io non ho mai capito come mai far giocare più italiani ne farebbe aumentare il prezzo: a me sembra più logico il contrario, cioè che più italiani giocano ‘obbligatoriamente’ e meno ognuno di loro può pretendere.

Comunque, pur nel rispetto di chi mette soldi suoi nello sport e quindi ha il diritto di decidere come gestirli, alla fine la differenza vera tra il nostro volley e gli inglesi è molto semplice.

Che gli inglesi la Brexit l’hanno fatta.