Romano Gialdini durante la piena di novembre 2014 davanti alla Casa dei Pontieri
Boretto (Reggio Emilia), 6 settembre 2015 – Seduto sulla panchina verde. Occhi che la sanno lunga, fissi su quell’acqua che gli ha piagato le mani, forgiato il carattere. Che ha deciso la sua storia. Romano Gialdini ha 77 anni. «Qui mi chiamano Romano del Ponte», scandisce con orgoglio. Tutta la sua vita l’ha trascorsa lì, a Boretto, a monitorare quel ponte di chiatte che prima di lui era stata l’unica fonte di sostentamento di suo padre Dino (al quale ha intitolato il prezioso museo) e suo nonno Archimede.

Quella struttura che collegava la sponda reggiana del Po con quella di Viadana ha chiuso nel 1967; ma Romano non l’ha abbandonata e si è reinventato un mestiere, vincendo un bando per la pulizia fluviale e lagunare. «Arrivavo fino a Jesolo… », sorride. E quando lo fa, sul suo viso compaiono i segni del tempo, quelle rughe che tanto somigliano ai rivoli del fiume, pieni di saggezza, di storie, di umidità e di pazienza.

«Ne abbiamo viste tante, qui, di piene sa? Venga con me… ». Era il 15 novembre scorso. Quel giorno decise di farmi salire su uno dei suoi battelli e afferrare un remo. Le sue decadi e la stanchezza («sono in piedi dalle 3… ») non le sentiva più.
In un attimo eravamo nel mezzo della golena allagata di Boretto, là dove sulla facciata di una casa suo nonno ha iniziato a murare le targhe delle piene straordinarie che si sono susseguite, dal 1917 in poi: 51, 77, 94, 2000. E se le ricorda tutte, l’uomo del ponte.

«Qui siamo abituati a vederne almeno due l’anno: una in autunno e una in primavera… Diciamo che quella di adesso è un po’ più grossa del normale… ».
Dal pelo dell’acqua spuntavano le sommità dei cartelli, le cime degli alberi. Se non fosse stato per la preoccupazione della nuova ondata in arrivo, si sarebbe anche rimasti incantati davanti allo spettacolo della potenza della natura. Davanti a quell’orizzonte fluido che non trova una fine.

Oggi, a distanza di nove mesi, Romano del Ponte è ancora lì. L’acqua della piena di novembre si è asciugata. Sul muro costellato di targhe compare la nuova data. Un’altra tacca nella memoria. Gialdini, quando non combatte con l’acqua, traghetta i visitatori dell’Albergo del Po lungo la storia. Dedica la sua vita alla Casa dei Pontieri che porta il nome di suo padre. Mostra le foto che lo vedono bambino, braghette corte e sorriso birichino, a salutare il futuro in bianco e nero di fianco alla sorella tutta treccine. Non lo sapeva, Romano, che quel ponte così avveniristico un giorno sarebbe diventato roba da museo. Ma a lui non interessa. Anche perché lì dentro ha messo tutta la sua vita. Il senso delle piccole cose, della quotidianità consumata in dialetto.

Quel suo sguardo acquoso d’improvviso si fa vispo. Occhi negli occhi, non si può sfuggire. Indica un foglietto, attaccato al telefono dentro una cassetta che utilizzavano per comunicare da una parte all’altra del Grande fiume. “Chi dimentica la storia, dimentica sé stesso”, c’è scritto. Lo legge ad alta voce. Poi lo ripete sillabando. Annuisce sornione, con tutta la consapevolezza dei suoi capelli bianchi.

Fuori, boe di lamiera bianche e rosse risplendono sotto il sole, davanti a una Fiat 500 color ocra parcheggiata a mezz’aria su una grata e una casetta che contiene il modellino fedele del vecchio ponte di barche. La piena, ormai, è solo una linea tracciata sul muro. La piena, qui, è abitudine. Basta saperla prendere. “Aspettiamo la prossima, che arriverà in novembre”, dice. Lui lo sa.

Nel frattempo, prima che accada, Romano del Ponte non aspetta altro che raccontare come si attraversava il Po. Andate a trovarlo, se potete.

http://www.albergodelpo.it/museogialdini/index.htm